mercoledì 30 giugno 2010

Accettare l'errore umano

Francoforte sul Meno, mercoledì 30 giugno 2010

Ore 18.45

L'argomento più attuale, dopo gli ottavi, sono gli errori arbitrali; premetto che, nelle prime giornate, la precisione degli arbitri mi aveva colpito; le loro prestazioni sono andate calando proprio mentre la manifestazione si andava avviando verso la sua fase centrale, quella più “calda”. Arrivati a questo punto, si possono trarre alcune considerazioni di carattere generale: 1) gli errori si concentrano soprattutto in un settore: quello delle sanzioni. Non sempre vengono punite dovutamente le entrate rudi, coi piedi a martello, mentre troppo credito è dato ai simulatori; non tanto i cascatori d'area di rigore, quanto quelli che trasformano buffetti o contatti involontari in gesti di violenza inaudita, per indurre l'arbitro ad estrarre il cartellino rosso; 2) gli ottavi di finale sono stati caratterizzati da gravi sviste di altro genere: gol fantasma (Inghilterra, non dato) e gol in fuorigioco (Argentina e Spagna, dati); tre errori gravi, di cui è difficile sottovalutare il peso esercitato sull'esito delle partite durante le quali sono avvenuti; le squadre che ne hanno beneficiato, del resto, hanno tutte e tre superato il turno; bisogna ammettere, tuttavia, che tutte e tre hanno giocato meglio dei rispettivi avversari: la Germania, nel primo come nel secondo tempo, ha surclassato l'Inghilterra sul piano del gioco; l'Argentina, una volta sbloccatasi, ha legittimato la vittoria con altre due reti; la Spagna, gol a parte, ha creato più occasioni del Portogallo. C'è una differenza, in questo senso, fra l'episodio di Germania – Inghilterra e gli altri due: questi ultimi sono figli del gioco d'attacco di Argentina e Spagna, vale a dire: quanto più si cerca la porta avversaria, quanto più si staziona nei pressi dell'area di rigore, tanto più è probabile godere di una svista arbitrale in occasione di un fuorigioco più (Tevez) o meno (Villa) evidente; tanto più è probabile che un proprio attaccante subisca un fallo da rigore o che, cadendo in area, induca l'arbitro in errore. È questa la ragione principale per cui le squadre più forti sono anche quelle, solitamente, più “aiutate” dagli arbitri in questo tipo di circostanze: per un fatto meramente statistico.

Questo ragionamento non è applicabile al caso del gol fantasma di Lampard: in questo senso, il danno subito dagli inglesi è stato maggiore, ma la differenza in campo fra le due squadre è stata netta, prima e dopo l'episodio. Va anche detto che, dopo il pareggio, Capello avrebbe potuto registrare la difesa (nell'intervallo) e la storia sarebbe (forse) stata diversa.

Per ragioni diverse, visti in rapporto con la loro gravità e con l'andamento delle partite sul cui esito hanno avuto un ruolo, questi tre errori si equivalgono. Sul piano della discussione a posteriori, no.

Il problema di stabilire quando il pallone supera o meno la linea di porta è stato oggetto di animate discussioni da ben prima che io nascessi: della rete fantasma di Hurst, durante la finale del 1966, si discute ancora, senza che tedeschi e inglesi abbiano raggiunto un pacifico accordo (per me non è gol); il Milan di Sacchi, prima durante la Coppa dei Campioni del 1989, si vide negata la convalida di almeno due reti regolari, perché all'arbitro era sfuggito il dettaglio che il pallone aveva superato la linea di porta; alcuni errori di questo tipo, nel campionato italiano 1997-1998, favorirono la Juventus nella volata-scudetto con l'Inter.

Proposte per risolvere il problema ne sono state avanzate tante: moviola in campo, assistenti dell'arbitro piazzati sulla linea di porta, sensori da inserire nel pallone o nei pali, etc. Alcuni anni fa il Consiglio Nazionale delle Ricerche, su incarico della Federcalcio, portò avanti uno studio del cui dossier conservo gelosamente una copia.

L'entità dell'errore (grave) di Rosetti e Ayroldi, durante Argentina – Messico, è stata amplificata dalla situazione grottesca nella quale è avvenuto: i due protagonisti dell'accaduto si sono evidentemente resi conto, grazie al tempismo del replay sui tabelloni dello stadio, di ciò che avevano combinato; hanno tuttavia realizzato, anche sulla scorta delle esplicite minacce degli argentini (ai quali non si può certo riconoscere grande fairplay, in questo frangente), che non si sarebbe potuto far nulla per rimediare veramente: per correggere l'errore si sarebbe dovuto violare il regolamento, che impedisce al direttore di gara di servirsi del replay per modificare una decisione; Rosetti si trovava di fronte a due destini ingrati: crocifisso per non aver annullato un gol irregolare, che avrebbe probabilmente inciso sulla qualificazione, oppure cacciato per aver violato il regolamento. Dev'essersi subito reso conto, il fischietto italiano, che il suo mondiale era finito. Finito per finito, Rosetti avrebbe potuto fregarsene della legge e agire secondo giustizia (e buon senso). Se prima che si ricominci a giocare scopro che il gol non è valido, lo annullo, indipendentemente dal canale attraverso cui lo sono venuto a sapere. Questa fu, quattro anni fa, la linea adottata da Helizondo durante la finale, allorquando decise di espellere Zidane per la testata a Materazzi.

Sorprenderò tutti: non mi schiero con la Gazzetta e con chi attacca la FIFA invocando l'aggiornamento della tecnologia o del regolamento per evitare situazioni di questo tipo. “Per un calcio credibile”, dicono, salmodiando questo e altri slogan. Non mi scandalizza, Blatter, quando dice che gli arbitri non devono guardare i tabelloni; il concetto è giusto, ma è espresso male: se i tabelloni ci sono e trasmettono i replay, è ovvio che gli arbitri non possono non guardarli. Se si vuole, come è lecito volere, che gli arbitri usino solamente il proprio occhio e quello dei guardalinee (o del quarto uomo), bisogna far impedire la diffusione delle immagini sui maxischermi o quanto meno inibire la riproposizione dei replay. Mi pare, del resto, che a Italia '90 funzionasse così.

Tendenzialmente sono contrario alla moviola in campo, perché altererebbe lo svolgimento del gioco senza risolvere necessariamente le controversie. Così come sono contrario all'incremento del numero di guardalinee (o giudici di porta, nel caso di assistenti piazzati sulla linea di fondo), cosa che ne farebbe solo calare il livello medio, per forza di cose.

Sui gol fantasma si potrebbe provare ad adottare una soluzione tecnologica di altro genere, come un sensore nel pallone e/o nei pali: la risposta di un simile dispositivo, ove applicabile, avrebbe il crisma dell'oggettività e non sarebbe oggetto né di proteste estemporanee, né di ulteriori discussioni post-partita.

Laddove la FIFA ha dei doveri inderogabili, è nella formazione e nella scelta dei direttori di gara; a curarne direttamente la formazione, ovviamente, sono le federazioni nazionali, su cui la FIFA deve esercitare una adeguata sorveglianza; deve altresì promuovere la formazione degli arbitri internazionali (assieme agli organi che organizzano e controllano il calcio nei vari continenti), attraverso corsi di aggiornamento e altri strumenti di verifica e controllo; la FIFA deve impegnarso non tanto a incrementare il livello medio della classe arbitrale (cosa a cui devono pensare le federazioni nazionali), quanto a coltivarne le eccellenze; la selezione, poi, deve essere inderogabilmente condizionata da un solo elemento: il valore dell'arbitro; se gli arbitri migliori del mondo sono tutti in Europa (lo dico come pura ipotesi esemplificativa), è giusto che al mondiale arbitrino solamente gli eruopei. A voler essere troppo ecumenici, c'è il rischio di ripetere il disastro del 2002.

Ciò detto, e detto anche che la FIFA può migliorare il proprio operato, preso atto della totale mancanza di comunicazione e di strategia di Blatter (peggio di lui, quanto a comunicazione, solo Papa Ratzinger), aggiungo solo questo: il calcio sarà davvero più credibile quando avremo imparato ad accettare l'errore umano e a conviverci serenamente.

martedì 29 giugno 2010

Altri nove cierrenove

Treno per Francoforte, martedì 29 giugno 2010


Ore 23.22

Mi sono nuovamente lasciato l'Italia alle spalle: è la Germania la mia casa per questi tre mesi, che si concluderanno mercoledì 14 luglio, giusto alla fine della 19a edizione della Coppa del Mondo. All'arrivo nell'aeroporto di Hahn, questa mattina, ho notato con una certa sorpresa che la temperatura qui è più alta che in Italia; basandomi sui giorni trascorsi a Roma, per non parlare delle settimane precedenti passate fra Mainz e Francoforte, ricorderò il giugno del 2010 come fra i più freschi della mia vita. La giornata più calda in assoluto l'ho trascorsa a Heidelberg.

Dopo la lezione di Frau Wehr mi sono ritagliato due ore per vedere la partita fra il Giappone e il Paraguay. Dopo il mondiali asiatici del 2002 ho maturato la convinzione che le squadre outsider, in un torneo, sono come la maggior parte delle spezie: se usate in quantità moderate, arricchiscono e completano il piatto, rendendolo più appetitoso; tuttavia, è sufficiente esagerare con le dosi e la stessa pietanza diventa disgustosa, talora immangiabile. Il mondiali del 2002 ha visto la prematura eliminazione di formazioni in lizza per la vittoria finale: in parte per errori imputabili a loro stesse e ai loro ct (Francia, Argentina), in parte agli arbitri (Spagna), in parte ad entrambi i fattori (Italia), in parte per accoppiamenti sfortunati (Inghilterra); senza dimenticare la clamorosa assenza dell'Olanda e quella, altrettanto pesante, della Repubblica Ceca, che allora era fra le squadre più temibili d'Europa e del mondo. Di ciò hanno approfittato formazioni di rango minore, che hanno ottenuto risultati storici: quarti di finale (USA, Senegal) e semifinale (Turchia, Corea del Sud) ; a queste si può aggiungere, senza voler fare un torto a nessuno, anche la Germania di Rudi Voeller, che non aveva una rosa fra le migliori della sua storia; i tedeschi, collocati nella parte bassa del tabellone, hanno avuto a disposizione un cammino in comoda discesa: per arrivare in finale sono bastate tre reti (il massimo risultato col minimo sforzo, questo è senza dubbio ammirevole), distribuite equamente contro Paraguay, Stati Uniti e Corea del Sud.

Le outsider di quell'edizione, sfruttando una serie di circostanze favorevoli, si sono ritrovate a giocare partite che non erano all'alteza di disputare: il calcio che si vide fu noioso, privo degli spunti di gioco delle grandi squadre e degli assoli che, a certi livelli, solo i campioni possono garantire; in quello scenario mediocre, la Germania ebbe il merito di ottimizzare gli sforzi per raggiungere il massimo risultato; il Brasile passeggiò letteralmente verso il successo finale, faticando un po' solamente coi tedeschi, per altro nettamente inferiori.

Subentrano strani complessi, nel cervello collettivo delle squadre outsider, a partire da un certo punto in poi: le gambe si irrigidiscono, la manovra di chi nelle prime partite ha mostrato un bel gioco, brillante e innovativo, si involve improvisamente; così come improvvisamente, chi era partito senza nulla da perdere, sente il peso della responsabilità, la tensione per l'occasione storica, le gambe molli per la paura di perdere o di vincere. Il desiderio di giocarsela ai calci di rigore. A ben vedere, le piccole squadre che vanno avanti, in linea di massima, seguono il percorso inverso di certe grandi, Italia compresa, che generalmente partono piano e si esaltano nelle fasi avanzate della competizione: quando il gioco si fa difficile, diremmo parafrasando il detto, escono fuori i campioni.

Questo preambolo spiega come mai Paraguay – Giappone non sia stata che una lunga e noiosa premessa all'inevitabile conclusione: i tiri di rigore, i primi di questa edizione del mondiale. Tirati per altro benissimo da entrambe le squadre, se è vero che la differenza l'ha fatta una traversa, colpita dallo sfortunato Komano (unico errore sui 9 rigori calciati). Fra due squadre che non avevano mai raggiunto i quarti di finale, la cosa non deve sorprendere.

Dopo la mia prima conferenza tenuta in tedesco e dopo una piacevole chiacchierata con Frau Wehr e un paio di studenti, accompagnata da birra e (un ottimo) cheeseburger, mi sono dedicato a Spagna – Portogallo; la partita è stata decisa, in un momento in cui la Spagna stava premendo contro la porta avversaria, da una rete di Villa in fuorigioco. Lascerò ai prossimi giorni i commenti sugli errori arbitrali, argomento che sta infiammando le pagine di giornali e riviste, nonché i salotti dedicati al calcio; per ora mi preme notare come il Portogallo, che aveva disputato un primo tempo dignitoso, abbia ceduto nella ripresa. Fuorigioco o no, va detto che la Spagna del secondo tempo ha cambiato ritmo (Xavi e Iniesta, in questo, sono autentici maestri) e ha avuto una serie di occasioni ravvicinate, con Villa e Llorente; va detto che il migliore in campo per i portoghesi è stato Eduardo, il portiere; va detto, infine, che la reazione lusitana al vantaggio avversario è stata assolutamente effimera, con Ronaldo lontano dalle zone nevralgiche del gioco, triste, stanco e frustrato, probabilmente anche poco ispirato, mai in grado di portare pericoli a Casillas.

Il problema del Portogallo è certamente la fase offensiva: i sette gol realizzati nella rassegna sono tutti figli dello scontro impari contro la Corea del Nord; un centravanti vero di spessore internazionale, se non si considera tale CR9 (che è qualcosa di più e di diverso da un centrattacco tradizionale), manca; inoltre il Portogallo, per tradizione, ha un gioco manovrato, lento, fatto di circolazione della palla più che di ritmo incalzante, ciò che serve per provare a recuperare una situazione di svantaggio contro un avversario forte. La Spagna, del resto, non ha solo un attacco formidabile, che ha in Villa (più che in Torres) il proprio vertice, ma ha anche una coppia di centrocampisti che non ha eguali nel mondo (i suddetti Xavi e Iniesta), un terzino destro che potrebbe giocarsi il posto con Philipp Lahm al Bayern, uno fra i portieri (Casillas) e uno fra i difensori centrali (Puyol) più forti del pianeta ed altri calciatori di livello internazionale in tutti i reparti. Passata in vantaggio, la Spagna non ha fatto che abbassare il ritmo, tenendo costante il pressing nella propria metà campo e chiudendo tutti gli spazi, senza rinunciare a qualche sortita offensiva con Llorente. Il massimo col minimo sforzo, è così che si vince.

Quando si ha CR9 l'abilità sta nel costruirgli attorno una squadra che ne esalti le qualità; il Manchester United lo faceva, il Real Madrid lo fa, il Portogallo di Queiroz no. A differenza di Messi, cui si può dire va' in campo e gioca, CR9 va istruito sui compiti da assolvere; a mio parere il meglio lo dà sulla fascia (specie in una squadra che non riesce a costruire trame efficaci), naturalmente con licenza di accentrarsi e di ricoprire, temporaneamente, anche la posizione di centrattacco; il modo in cui si scambiavano di posizione lui e Rooney, nel Man Utd di qualche anno fa, era assolutamente meraviglioso. Da registrare e far vedere in tutte le scuole calcio. Sarà anche stata colpa di una serata poco ispirata, ma io Ronaldo l'ho sempre visto isolato in attacco, con la palla lontana e i compagni a contenderla agli spagnoli, oppure distante dalla zona nevralgica, in costante difficoltà sui raddoppi avversari. Ce ne sarebbero voluti altri nove, di CR9.

Altre otto squadre abbandonano la competizione:

la Corea del Sud di Park, che gioca nientemeno che nel Manchester United;

gli Stati Uniti d'America, sotto gli occhi sornioni di Clinton;

l'Inghilterra del gol e del centravanti fantasma (Rooney);

il Messico del vecchio Aguirre e del mio Blanco (adios!);

la Slovacchia dei Vladimir Weiss;

il presuntuoso Cile, tutta tecnica e poca concretezza sotto porta;

il Giappone, abilissimo nei calci piazzati, ma evidentemente non abbastanza.

A voi, grazie per aver partecipato; agli altri forza e coraggio, ché il cammino è ancora lungo.

Paraguay – Giappone 5 – 3 [0 – 0 al termine dei tempi supplementari; rigori: Barreto, Endo, Barrios, Hasebe, Riveros (Komano), Valdez, Honda, Cardozo]

Spagna – Portogallo 1 – 0 [Villa]

lunedì 28 giugno 2010

Le trasmissioni riprenderanno appena possibile...

Mi scuso con tutti i lettori del Diario Mondiale: a causa di una serie vorticosa di impegni e di qualche problema tecnico, non mi è stato possibile essere costantemente online negli ultimi giorni. Ho comunque seguito le partite, preso appunti e scritto il diario su supporto cartaceo.
Domani, con il termine degli ottavi di finale, mi rimetto in pari.

Promesso.

F.B.

sabato 26 giugno 2010

Il destino nel nome

Roma, sabato 26 giugno 2010

L'alba del giorno dopo

Come redattore di un diario di questi mondiali e soprattutto come blogger sto perdendo colpi. Non posso negare di essere stato poco assiduo in questi giorni, caratterizzati da strade divorate in automobile, soste precarie, pianti e sorrisi di bambini, vestizioni e svestizioni, sudore e bevute. Fra il Mundial e il matrimonio di Livio e Roberta ho dovuto necessariamente scegliere e penso di aver scelto bene. Ciò premesso e fatti loro gli auguri di un magnifico Viaggio, mi ricompongo nei panni di appassionato commentatore non professionale.

Avevo faticato a trovare un calciatore che potesse essere la rivelazione della rassegna, e ora mi pare di averlo trovato: Luis Suarez, 23 anni, uruguagio, punta dell'Ajax. Il destino nel nome. Tre reti nelle ultime due partite, fondamentali le ultime due per accedere ai quarti di finale, spettacolare il secondo. Parlo non avendo visto che poche immaagini: si muove molto, è rapido, ha un piede (sinistro) molto preciso, lavora sodo ed ha il senso del gol. Nel campionato olandese ha segnato valanghe di reti e sono convinto che, al termine della manifestazione, sarà al centr dell'attenzione dei grandi club europei.

L'attacco uruguagio ha preso una forma incoraggiante: Forlan è un leader, una punta esperta e un creatore di gioco (eccezionale il suo lavoro in occasione del primo vantaggio); Cavani non canta, ma porta egregiamente la croce; Suarez ha nel piede i colpi decisivi. Solidissima anche la difesa, quantunque il pareggio coreano (prima rete subita durante il mondiale) sia frutto di un'incomprensione fra Muslera e Fucile.

Superando gli USA dopo i tempi supplementari, il Ghana affianca il Camerun (1990) e il Senegal (2002), uniche formazioni africane ad aver mai raggiunto i quarti di finale in una Coppa del Mondo. Quantunque provi simpatia (nel calcio) per gli Stati Uniti, mi allieta sapere che c'è ancora un pezzetto d'Africa in questo mondiale africano.

Affrontare l'Uruguay nei quarti non è una benedizione, ma lascia margini per poter sognare un posto solitario nella storia: francamente me lo auguro, ma vedo favorita la Celeste di Tabarez.

Germania – Inghilterra, che si disputerà domani, è un pezzo importante di storia del calcio; mi vengono in mente la finale di Webmley del 1966, vinta dagli inglesi grazie a un gol fantasma ai supplementari, e la rivincita trent'anni dopo, all'Europeo del 1996, sempre a Wembley, lo sguardo vitreo di Southgate dopo il rigore fallito e la Germania che va in finale e la vince. Se lo ricorderanno bene Oliver Bierhoff (attuale team manager della Germania) e Andreas Koepke (preparatore dei portieri), che quell'Europeo lo vissero da grandi protagonisti.

Uruguay – Corea del Sud 2 – 1 [Suarez, Lee, Suarez]

USA – Ghana 1 – 2 [Boateng, Donovan rig., Gyan]

venerdì 25 giugno 2010

Made in (Sud)America

Roma, venerdì 25 giugno 2010

Notte

Si è finalmente conclusa la fase più dura della rassegna, parlando dal punto di vista di chi il mondiale lo segue; da oggi in poi si disputeranno non più di due partite al giorno, con pause di uno o più giorni fra ottavi, quarti, semifinali e finali.

Girone G e girone H rispettano in pieno i pronostici della vigilia: Brasile e Portogallo pareggiano e se ne vanno a braccetto agli ottavi; la Spagna supera il Cile ma la Svizzera di Hitzfeld non ne approfitta e torna a casa.

Il sito web dell'International FIFA Fan Fest di Roma dava per battuta la Costa d'Avorio già prima della partita: perché? Una goleada degli africani, in combinazione con una sconfitta del Portogallo, avrebbero potuto alterare la differenza reti e ribaltare il risultato della qualificazione; a rigor di logica, anzi, perfino la Corea del Nord avrebbe potuto passare il turno a spese del Portogallo, ovviamente segnando un numero di reti fantascientifico; la Costa d'Avorio ha vinto con sulla formazione più debole dell'intero mondiale (Corea del Nord: tre sconfitte, dodici gol subiti e uno fatto, uno come la Francia) con uno scarto buono ma non sufficiente per riuscire nell'impresa.

Il Portogallo, ad ogni modo, si è guadagnato la certezza della qualificazione sul proprio campo, costringendo il Brasile a restare a secco di reti, attaccandolo anzi e provando a batterlo; lo 0 – 0 dimostra quanto la squadra verdeoro sia plasmata a immagine e somiglianza del proprio ct, un pragmatico che bada al risultato innanzi tutto. E va detto che il Brasile ha dato ampio spazio alle seconde linee, per rimpiazzare gli squalificati (Kaka) e far rifiatare chi aveva giocato le partite precedenti.

Chi qualche rimpianto lo può avere è la Svizzera: battendo un debole Honduras, avrebbe avuto buone possibilità di superare il turno, in caso di non improbabile (come poi è stato) sconfitta del Cile contro la Spagna; pesa moltissimo, oltre al pareggio contro il fanalino di coda, l'espulsione di Behrami nella seconda partita, che ha fatto pendere l'ago della bilancia dalla parte dei Cileni (vittoriosi poi per uno a zero).

La seconda vittoria della Spagna, contro gli avversari più forti del girone, dimostra che il passo falsso all'esordio è stato frutto di una giornata storta e nulla più; considerando la psicologia delle nazionali iberiche (un discorso analogo vale anche per il Portogallo), questo passo falso potrà addirittura risultare positivo, scacciando dalla mente dei campioni d'Europa il germe del rilassamento e dell'autocompiacimento; commettere l'errore di ammirarsi in uno specchio, dagli ottavi di finale in poi, sarebbe un errore fatale.

La sconfitta del Cile contro la Spagna (anche questa partita è stata condizionata da un'espulsione dubbia) è la prima di una sudamericana in questo mondiale; disputeranno gli ottavi 6 squadre europee (Germania, Inghilterra, Olanda, Slovacchia, Spagna e Portogallo), 5 sudamericane (Argentina, Uruguay, Paraguay, Brasile e Cile), due nordamericane (Messico e USA), due asiatiche (Giappone e Corea del Sud) e una sola africana (Ghana).

Finora è il Sud America a targare la rassegna: tutte e 5 le nazionali partecipanti si sono qualificate agli ottavi senza sconfitte: quattro potrebbero avanzare fino ai quarti (una fra Brasile e Cile lascerà il Sudafrica prima), mentre il numero delle squadre europe che passeranno il prossimo turno si sa già: tre. Nella parte bassa del tabellone, la sorprendente presenza di Paraguay e Giappone apre una ghiotta occasione per le chi vincerà il derby iberico fra Spagna e Portogallo.

Trentatré sono le reti segnate durante l'ultimo turno dei gironi preliminari: poco pià di due gol a partita, la media si è nuovamente abbassata.

Delle trentadue squadre iscritte a questa fase finale ben sedici la lasciano anzitempo:

la Francia del ribelle Anelka;

il Sudafrica padrone di casa;

la Nigeria dei gol sbagliati;

la Grecia dei primi storici punti (e gol);

l'Algeria del catenaccio;

la Solvenia della grande illusione;

l'Australia, che ha chiuso in crescendo;

la Serbia, che ha chiuso in calando;

la Danimarca, davvero troppo stanca;

il Camerun, imperdonabilmente distratto;

la Nuova Zelanda, che non ha mai perso;

l'Italia, che non ha mai vinto;

la Corea del Nord, sommersa di reti;

la Costa d'Avorio, a cui sarebbe servito un miracolo;

la Svizzera, che aveva illuso tutti;

l'Honduras, che non ha mai illuso nessuno.

A tutte le altre, in bocca al lupo per il prosieguo.

Corea del Nord – Costa d'Avorio 0 – 3 [Touré, Romaric, Kalou]

Portogallo – Brasile 0 – 0

Cile – Spagna 1 – 2 [Villa, Iniesta, Millar]

Svizzera – Honduras 0 - 0

Il giorno più lungo

Roma, giovedì 24 giugno 2010

Notte

Nel senso proprio di notte fonda. L'Italia non accede alla seconda fase del mondiale: lo hanno detto in molti, a partita finita, in radio tv e internet; io mi ero già fatto il calcolo durante i 90 minuti, aspettando che questo incubo si materializzasse.

La notte è ancora più nera perché il ricordo non può non andare a quella di Berlino, illuminata dal rigore di Grosso, dai colori e dalle immagini della premiazione, da Cannavaro che alza la coppa.. Ora Cannavaro cerca di consolare i compagni che la coppa non l'hanno vinta e chissà se la vinceranno mai.

La delusione è ancora più grande perché è stata preceduta da una clamorosa illusione, alimentata da Di Natale prima e da Quagliarella (una prodezza inutile), bravi a prolungare l'agonia azzurra fino all'ultimo secondo del recupero.

Non entro nel merito della rete annullata all'Italia, perché non ho rivisto bene le immagini; di sicuro va detto che l'Italia si meritata, non una ma più volte, questa eliminazione. Non è mai stata in vantaggio, ha commesso una serie di gravi errori difensivi, ha mostrato lacune evidenti nella costruzione del gioco e nelle qualità dei singoli, ha corso meno o comunque peggio degli avversari. Si è comportata bene solo sul piano disciplinare, non perdendo mai la testa a fronte di una situazione via via sempre più difficile e di una pressione mediatica che, immagino, si sia sentita. Ieri poteva finire in rissa e non è stato così. Bravo anche l'arbitro a dispensare, senza esagerare in un senso o nell'altro, i cartellini gialli, grazie ai quali ha tenuto in pugno l'incontro.

Sia detto serenamente: Lippi ha commesso degli errori, a cominciare dalla costruzione del gruppo. Sia detto serenamente perché Lippi è il ct che ha contribuito in modo fondamentale alla vittoria di un mondiale, quattro anni fa, che era partito sotto i peggiori asupici (l'alba di calciopoli). Alllora era stato pressoché perfetto, durante il suo secondo ciclo no. Dall'inizio non ha costruito un gruppo costruito sul presente-futuro, bensì sul passato-presente. Il coraggio di sfilare a Cannavaro la fascia da capitano non l'ha avuto, né di puntare su alcuni giocatori giovani che avrebbero pouto far bene anche quest'anno. Non entro nei dettagli, cosa che ci sarà modo di fare nei prossimi giorni. Dico solo che Lippi, quando dice che è tutta colpa sua, è apprezzabile ma non è sincero. Non è tutta colpa sua e lui lo sa. Ma torniamo alla partita.

La Slovacchia ha giocato molto bene, aggredendo e muovendosi in maniera armonica, con e senza palla, sfruttando le occasioni e chiudendo gli spazi. Da subito è sembrata godere di migliore condizione atletica. È andata in affanno solo in una fase avanzata della partita, quando Pirlo e Quagliarella hanno cambiato il volto dell'attacco azzurro, costruendo geometrie il primo, arrencando pericoli veri il secondo; Pirlo stava male e va bene, ma lo scarso utilizzo di Quagliarella, in questa Italia, è stato un errore imperdonabile: una conclusione respinta a cavallo della linea da un difensore, una splendida combinazione con Iaquinta che ha propiziato il gol di Di Natale, un movimento che ha indotto gli avversari all'autorete (annullata), un gol da cineteca: avevo già detto i giorni scorsi che Quagliarella (che pure non ha grande caratura internazionale) avrebbe dovuto trovare maggior spazio, che lui avrebbe potuto forse sfruttare le proprietà dello Jabulani, che lui... l'avevo detto e lo ammetto: un po' me ne compiaccio.

Mi compiaccio ancor più di aver calcolato i tempi di percorrenza da Berna a Roma con precisione cronometrica. In dieci ore esatte Till Stellino ed il sottoscritto hanno attraversato la Svizzera Tedesca, il traforo del San Gottardo, il Canton Ticino, la Lombardia, l'Emilia Romagna, la Toscana, l'Umbria e parte del Lazio fino a Roma; siamo arrivati alle 15 e 15, abbiamo scaricato canotti, borse di vestiti, computer, televisori portatili, casse di birra e di vino, accessori per la pittura ed altri effetti personali in una manciata di minuti (con il significativo apporto di Valerio Mammone), poi siamo corsi verso l'International FIFA Fan Fest di Piazza di Siena: in tempo per il fischio d'inizio di questa infinita sofferenza collettiva.

Per quanto si possa criticare certi attegiamenti dei commentatori tedeschi, la qualità del servizio erogato dalla nostra tv di stato è certamente più bassa; il raccomandato (non mi spiego altrimenti il rilievo dato alla sua posizione) Civoli e l'abbronzatissimo Bagni sono ormai la parodia dei loro rispettivi ruoli: non fanno che distrarre l'attenzione dello spettatore, deviandola dalla partita ai loro patetici siparietti.

Per ben due volte Civoli ha incautamente dato per morta l'Italia, salvo rimangiarsi la parola dopo le segnature di Di Natale e Quagliarella: non è il massimo, per un telecronista.

Nella giornata (per me) più lunga non c'è molto altro da raccontare: la Nuova Zelanda chiude la sua magnifica esperienza (contro di noi hanno giocato un calcio perfetto, in rapporto alle loro qualità) senza sconfitte, con appena due gol subiti e un punto in più di noi; il Giappone strapazza una Danimarca stanca, mostrando più vigore atletico e una eccezionale capacità nel battere i calci di punizione (il primo, calciato da Honda, ricorda quelli di CR9); l'Olanda recupera Robben (che ha preso un palo) e batte anche il Camerun, che si congeda dal mondiale con la terza sconfitta e la seconda rete di Eto'o.

Me ne vado a dormire osservando che si sono segnate le prime reti su pallonetto (Kopunek, Quagliarella) e oensando che domani, al mio risveglio, il cielo sarà un po' meno azzurro.

Paraguay – Nuova Zelanda 0 – 0

Slovacchia – Italia 3 – 2 [Vittek, Vittek, Di Natale, Kopunek, Quagliarella]

Camerun – Olanda [Van Persie, Eto'o, Huntelaar]

Danimarca – Giappone 1 – 3 [Honda, Endo, Thomasson, Okazaki]

Il miracolo di Berna

Berna, mercoledì 23 giugno 2010

Notte

Il nostro viaggio è iniziato: fermatici a Friburgo per acquistare dei vini, Till e io abbiamo sostato in una Kneipe per mangiare un Flammkuchen e guardare il secondo tempo di Inghilterra – Slovenia, alternato alle fasi salienti dell'incontro fra statunitensi e l'Algeria. Nulla di eccezionale fino al 92°, quando il brutto anatroccolo Landon Donovan non ha regalato ai suoi successo e qualificazione.

Non ho realizzato subito che questo risultato, imprevedibile per i tempi in cui è maturato, ha dato agli USA addirittura il primo posto nel girone, sottratto a Capello & Co. Ciò significherà che una fra Inghilterra e Germania dovrà per forza di cose uscire agli ottavi, mentre una fra Inghilterra e Ghana si ritroverà di sicuro ai quarti.

La Germania ha battuto il Ghana con una splendida rete di Özil, meritandosi il primo posto. I tedeschi hanno rischiato varie volte di prendere il gol, ma hanno mostrato anche di essere una squadra viva, che sa attaccare e che sa cavarsi d'impaccio nelle situazioni di difficoltà. Del resto, hanno preso un gol meno di noi (giocando una partita in più) e ne hanno segnati cinque. Noi per ora ne abbiamo segnati due, di cui uno su calcio di rigore. Vedremo cosa succederà domani.

La combinazione di risultati venutisi a determinare nel corso dei secondi tempi era palesemente favorevole al Ghana; che ha continuato a macinare gioco, ma non so dire se volesse veramente provare a recuperare lo svantaggio, per trovarsi ad affrontare l'Inghilterra di Fabio Capello.

Diario breve e stringato, oggi: domani, all'alba, partiremo per provare a raggiungere Roma in tempo per vedere Slovacchia – Italia.

Slovenia – Inghilterra 0 – 1 [Defoe]

Stati Uniti – Algeria 1 – 0 [Donovan]

Australia – Serbia 2 – 1 [Cahill, Holman, Pantelic]

Ghana – Germania 0 – 1 [Özil]

martedì 22 giugno 2010

Adieu les bleus

Francoforte sul Meno, martedì 22 giugno 2010

Ore 22.30

Per la prima volta nella storia della Coppa del Mondo di calcio, la nazionale ospitante non supera la fase a gironi: va detto che il Sudafrica, certo non una squadra di rango (ma di rango non erano neppure Giappone e Corea del Sud, che nel 2002 arrivarono entrambe alla fase a eliminazione diretta; i coreani raggiunsero addirittura le semifinali, al termine di un cammino accompagnato da polemiche e sospetti), è stata inserita in un girone molto difficile, per essere una testa di serie; paradossalmente l'avversario più duro, sulla carta (la Francia), è stato quello che ha opposto minor resistenza, l'unico che i Bafana Bafana siano riusciti a battere; se qualche rimpianto dev'esserci, riguarda certo la partita inaugurale, in cui i padroni di casa non sono riusciti ad amministrare il vantaggio; ad ogni modo, del girone passano il turno le squadre più forti, stando a ciò che si è visto in questi giorni.

In molti pensavano che l'incontro fra Uruguay e Messico si consumasse noiosamente fra due squadre desiderose solamente di pareggiare per accedere agli ottavi di finale; così non dev'essere stato (la tv tedesca si è collegata con Rustenburg solo per alcuni rapidi aggiornamenti e alle 18 ha trasmesso gli highlights), perché il Messico ha schierato una formazione protesa all'attacco e l'Uruguay, col tridente Cavani-Forlan-Suarez ha prodotto un buon numero di palle-gol, adando in vantaggio e portando a casa il risultato; va detto, a testimonianza di una partita “vera”, disputata con impegno da entrambi i contendenti, che il Messico aveva colpito una clamorosa traversa prima della rete di Suarez.

Queste considerazioni non possono che accrescere il rammarico e la vergogna dei francesi, che si sentivano eliminati già prima di oggi (lo avevo detto) e che invece una possibilità di redenzione l'avrebbero avuta. Domenech ha cambiato nuovamente le carte in tavola, ripescando Gorcouff e dando a Cissé una maglia da titolare, al posto di colui che l'aveva mandato a farsi fottere (Anelka, tornato a casa); a conferma dello stato di evidente confusione mentale, il ct transalpino ha nuovamente lasciato in panchina Henry ad ammuffire di tristezza; Tierry non sarà più quello di qualche anno fa, la freccia dell'Arsenal che segnava valanghe di gol e che era imprendibile in progressione, ma è un attaccante esperto, dalla tecnica sopraffina, leader vero; può (anzi deve) stare in panchina nel Barcellona di Messi e Ibra, ma non in una Francia piccola piccola come quella di questa rassegna; Domenech, lo scaramantico Domenech, che mal vedeva Trezeguet per motivi astrologici, chissà cosa avrà pensato quando ha visto il rosso sventolato dall'arbitro in faccia proprio a Gorcouff; si sarà forse chiesto se per caso la jella transalpina non passi dai “suoi”, di astri.

L'espulsione (ingiusta) ha chiuso ogni discorso, facendo da preludio al raddoppio sudafricano e ai numerosi tentativi del secondo tempo di segnare la terza rete; nella ripresa, complice lo sbilanciamento dei padroni di casa alla ricerca della goleada che avrebbe loro concesso di superare in classifica il Messico, alla Francia è riuscito almeno di segnare il gol della bandiera (l'unico dei transalpini in questo mondiale).

La sua ultima partita in nazionale Diego Armando Maradona la giocò sedici anni fa contro la Grecia, durante i mondiali americani. Finì con un sontuoso 4 – 0 e Maradona segnò la sua ultima rete con la maglia albiceleste: un'azione spettacolare, puro flipper applicato al calcio, e la corsa di Diego verso la telecamera, il suo grido rabbioso, come a dire: - Chi dice che sono finito? Sono ancora io il numero uno al mondo.

Pochi giorni dopo l'esito di un controllo antidoping spense il sogno di Diego e il motore di quella macchina da gol impressionante si inceppò: l'Argentina fu eliminata agli ottavi di finale dalla Romania.

Una nuova vittoria sui greci, con Maradona ct, regala all'albiceleste nuovi ottavi di finale, da giocarsi contro il Messico (come quattro anni fa). Con un bel turnover (fuori i marcatori delle prime due partite, Heinze e Higuain), l'Argentina è stata assai meno brillante, più lenta e prevedibile, in difficoltà nel tentativo di scardinare l'assetto difensivo iniziale della Grecia; assetto difensivo cui, col passare del tempo e l'evolversi di Nigeria – Corea, Otto Rehagel ha dovuto rinunciare, per tentare l'impresa (quasi) impossibile di battere il colosso argentino.

Un'occasione, a dir la verità, Samaras l'ha avuta, propiziata dal secondo grave errore di Demichelis (fattosi poi perdonare con la rete del vantaggio); Romero, completamente fuori posizione, non avrebbe avuto alcuna possibilità contro una conclusione nello specchio della porta.

Francamente non ho avuto l'impressione di un Milito snobbato da Maradona; di un Milito non a suo agio in questa squadra come nell'Inter sì; uscire senza aver segnato ed assistere all'apoteosi di Martin Palermo, che bagna l'esordio al Mundial con una rete, non dev'essere psicologicamente facile. La posizione di Milito, da questo incontro, non esce certo rafforzata.

Dopo il Sudafrica esce anche la Nigeria: paga le incertezze del proprio estremo difensore (anche oggi con la Corea) e la scarsa precisione (per non dire altro) sotto porta di Obafemi Martins, che ha sprecato due occasioni d'oro nel secondo tempo (incredbile la prima); la parte del leone, in questo torneo, continuano a farla le squadre sudamericane, che non hanno ancora perso; deludono le africane; fra le europee c'è un po' di tutto (dalla disfatta della Francia al punteggio pieno dell'Olanda).

Anche due anni fa i francesi furono eliminati al primo turno dell'Europeo: si trattava però di un girone davvero di ferro, con Olanda, Romania e Italia; l'umiliazione subita in questo mondiale, contro squadre che non aspirano certo al titolo finale, ricorda semmai quella patita nel 2002, allorquando i campioni d'Europa e del mondo lasciarono la competizione senza aver segnato nemmeno una rete.

Comunque vada, la Francia è già riuscita a fare peggio di noi: un solo punto (noi ne abbiamo già due), un solo gol fatto (noi ne abbiamo segnati già due), quattro subiti (noi ne abbiamo presi “soltanto” due, ma questo è un dato ancora provvisorio); se anche ci andasse male con la Slovacchia, potremo sempre dire che c'è di peggio. Lippi e Abete prendano nota.

I due gol subiti dagli Azzurri sono la metà di quelli che ha subito la Francia, è vero, ma sono anche tanti quanti ne abbiamo presi quattro anni fa in Germania: allora, fra l'altro, si trattò di una clamorosa autorete di Zaccardo e di un (meraviglioso) rigore di Zidane, assegnato per un fallo molto dubbio su Malouda. Due reti in sette partite allora, due reti quest'anno; è un dato che dobbiamo cercare di mantenere inalterato, un numero cui attaccarci con le unghie e con i denti; il problema è che le unghie sono quelle di Marchetti (non di Buffon) e i denti, anzi la dentiera, quella di Cannavaro: non il fenomeno di Berlino, ma suo nonno gemello.

Dopo giorni di freddo, di vento e di pioggia, oggi abbiamo avutto una giornata di sole; la temperatura è ancora timidamente primaverile, mi riferisco alla primavera tedesca, ma la cosa non mi dispiace; domani Till Stellino ed io partiamo per Roma, un migliaio di chilometri da macinare con l'occhio attento agli orari, soste programmate ad hoc per seguire le partite della Germania (domani sera) e l'Italia (dopodomani pomeriggio): comunque vada, sarà una bella avventura. A Till, che oggi spegne trentatré candeline, dedico questa pagina di diario.

Francia – Sudafrica 1 – 2 [Khumalo, Mphela, Malouda]

Messico - Uruguay 0 – 1 [Suarez]

Grecia – Argentina 0 – 2 [Demichelis, Palermo]

Nigeria – Corea del Sud 2 – 2 [Uche, Jung, Park, Vakubu rig.]

lunedì 21 giugno 2010

Un gol per ogni santo

Francoforte sul Meno, lunedì 21 giugno 2010

Ore 22.50

Chi un fantasista ce l'ha, uno in grado di fare la differenza in avanti e di cambiare il volto a qualsiasi partita, è il Portogallo. Cristiano Ronaldo è uno dei calciatori più incontenibili che ci siano al mondo; io lo preferivo alla vecchia maniera, quando giocava esterno, correndo senza sosta lungo la fascia (per lo più la destra), dribblando e crossando, tirando da lontano o saltando l'uomo per convergere verso la porta avversaria.

Negli ultimi anni la sua posizione si è andata accentrando, diventando qualcosa di simile a quella di un centravanti di ruolo; segna di più, perché si trova più spesso in posizione buona per esplodere il suo destro magnifico; rovescio della medaglia, l'onere di costruire spetta sempre di più ad altri ed è più difficile per lui liberarsi dalle marcature. CR7 è diventato CR9.

CR9 era nella lista degli incompiuti della prima giornata, nella quale lo si era visto solo una volta (ciò non ostante era stato eletto man of the match dalla FIFA), allorquando aveva colpito un clamoroso palo dalla distanza; oggi ho notato che non era mai fra i primi a festeggiare i marcatori portoghesi, non correva loro incontro per condividere una gioia collettiva; se ne stava in disparte, eroe solitario con la faccia imbronciata, bomber che non riesce a sbloccarsi; a un certo punto della ripresa dev'essersi rassegnato a tornare CR7, quello di una volta, e ha preso a divertirsi con gli assist: uno per Tiago (che ha segnato), uno per Meireles (conclusione di poco al lato). E ha preso a divertirsi sul serio: gli abbiamo rivisto il sorriso sul volto, compiaciuto delle gambe che girano, della prestazione maiuscola, delle speranze riaccese. Ha continuato a correre, a inventare, a provare a segnare, ma non come un'ossessione, un dovere, bensì come un divertimento e basta. Quando ha colpito il secondo legno di questo mondiale, sgrullando l'incrocio dei pali dalla pioggia che vi era caduta sopra, ha sorriso.

Poi, all'ottantasettesimo minuto, ci riesce: tocco di punta sul portiere in uscita, che respinge il pallone più o meno a casaccio, verso l'alto; la sfera ricade sul dorso di CR9, che non se ne accorge; gli rimane però incollata alla schiena, gli rimbalza in testa e se la trova sul piede, con la porta spalancata e i difensori protesi in un inutile tentativo di recupero: è il 6 – 0.

Ronaldo è tornato.

La goleada contro una piccola squadra è la specialità di nazionali come il Portogallo (o la Spagna); quella di oggi, contrariamente a quanto accade solitamente, è anche molto utile, perché dà ai portoghesi un vantaggio rassicurante, in termini di differenza reti, sulla Costa d'Avorio. Ammesso che Ronaldo e compagni escano sconfitti dalla sfida al Brasile, gli ivoriani dovranno sommergere di reti la Corea, per sperare nella qualificazione.


La sceneggiata di Keita ha avuto talmente tanto successo da essere riproposta anche oggi, con qualche variante dovuta all'improvvisazione dei protagonisti; a farne le spese è stato Valon Behrami, che ha lasciato i suoi in dieci contro un Cile veloce quanto portato a sprecare le occasioni da gol. A ripensarci, l'errore dell'arbitro di ieri sera è veramente grave: non solo perché ha creduto a un'abile esercizio di finzione, quanto per aver ammonito Kaka. Mi spiego: in simili circostanze, se si vuol credere che Kaka abbia davvero colpito e atterrato Keita, lo si espelle con un rosso diretto; alternativamente, non si espelle Kaka e magari si ammonisce Keita per simulazione. Il giallo a Kaka (già ammonito) non ha alcun senso, è la classica scelta pavida con cui si sbaglia sempre.

Senza l'espulsione di Behrami, siamo alle solite, non so se il Cile avrebbe avuto la meglio sulla Svizzera; che una buona difesa l'aveva già prima che arrivasse Hitzfeld, se è vero che quattro anni fa, in Germania, non prese neppure un gol: vinse il girone di cui era testa di serie la Francia (che si classificò seconda) e poi fu eliminata dall'Ucraina, ai calci di rigore, dopo un tiratissimo 0 – 0. Da oggi la difesa Svizzera vanta un nuovo record (strappato all'Italia): 558 minuti di inviolabilità della propria porta durante le fasi finali dei Mondiali. Chapeau.


Una giornata storta. A nient'altro si deve attribuire il passo falso della Spagna all'esordio. Questa era la ragionevole spiegazione di Ulisse, il mio affezionato commentatore, e di molti altri. È una spiegazione che trova un perfetto riscontro nella convincente prestazione odierna, che non ha lasciato alcuno scampo all'Honduras. Questo tuttavia non contrasta con la considerazione che spesso, agli spagnoli, sono capitate singole partite storte, a volte mezze partite, che sono risultate fatali; quattro anni fa, in vantaggio sulla Francia, si fecero rimontare da un incontenibile Ribery; l'anno scorso, superfavoriti nella Confederation Cup, persero clamorsamente la semifinale contro gli USA. Si giocasse sulla lunga distanza, in un girone all'italiana, la Spagna lo vincerebbe a mani basse; ma qui bisogna stare attenti, perché anche una singola giornata storta, quanto più si va avanti, diventa fatale.

D'altronde, pur dopo la vittoria di stasera, la qualificazione è ancora tutta da conquistare, battendo il Cile nella terza partita; i sudamericani, che potrebbero essere raggiunti anche dalla Svizzera, venderanno cara la pelle.

Sul piano del gioco, la Spagna di oggi ha convinto in pieno; cercando il pelo nell'uovo, diciamo che avrebbero potuto vincere con un margine più ampio; la differenza reti, tuttavia, non sarà decisiva come potrebbe esserlo per il Portogallo, perché vincendo gli spagnoli scavalcheranno comunque il Cile. Per il resto: difesa sicura, Casillas mai impegnato, Villa sugli scudi; sulla tre quarti sinistra, la sua posizione ideale, il numero sette è stato davvero troppo forte per Mendoza.

Inutile, nell'Honduras, sostituire Pavon con Suazo: l'attaccante del Genoa, che non è più quello di Cagliari, non ha mai impensierito Casillas, un po' per pochezza della sua squadra, un po' per scarse ispirazione e forma personali. Suazo, del resto (quello di Cagliari), era un giocatore che andava lanciato in velocità, caratteristica nella quale si dice che fosse pressoché ineguagliato; per la precisione, uno che gli tenesse testa nella corsa c'era, proprio a Cagliari, ed era un suo compagno di squadra: Edgar Alvarez, pure lui honduregno, pure lui convocato per questo mondiale.

Con oggi finisce la seconda giornata della fase a gironi: tutte le squadre hanno disputato due partite e da domani fino a venerdì si disputeranno quattro incontri quotidiani, che emetteranno tutti i verdetti; due sono le squadre già qualificate agli ottavi, Olanda e Brasile (a punteggio pieno), mentre per tre formazioni gli ottavi non sono più alla portata: Camerun (sorpresa negativa), Corea del Nord e Honduras; in cinque degli otto gironi tutte e quattro le squadre hanno ancora la possibilità di qualificarsi, almeno sulla carta: ciò lascia presupporre quattro giorni di forti emozioni.

42 reti in 16 partite risollevano un po' il morale, dopo le 25 del primo turno; la media sale da 1,5 a 2,6 gol a partita, che è superiore a quella (calcolata sulla somma di tutti gli incontri) di Germania 2006 (2,3); merito anche del risveglio dei bomber, quelli di professione (Higuain, Forlan, Fabiano, Villa) e quelli d'occasione (Tiago), autori di triplette (Higualin) e doppiette (gli altri). Fra gli altri, si sono sbloccati Donovan, Sneijder, Ronaldo e Villa, i cui gol erano attesi e sono sicuramente graditi; la rete più bella è quella di Villa che ha dato alla Spagna il vantaggio sull'Honduras; Villa è anche il secondo a sbagliare un rigore, dopo Podolski.

La squadra che mi ha convinto maggiormente, fino a questo punto, è l'Argentina; quelle più deludenti la Francia, l'Inghilterra e l'Italia (Lippi e Capello, rispetto a Domenech, hanno ancora il destino nelle proprie mani); la Costa d'Avorio, fra le migliori squadre africane, ha avuto la cattiva sorte di trovarsi in un girone di ferro; quel calcio d'angolo, allo scadere della partita col Portogallo, avrebbe davvero dovuto provare a trasformarlo.

La morte di Josè Saramago, avvenuta pochi giorni fa, è stata accompagnata da speciose polemiche; le ha alimentate, sia detto con chiarezza, un articolo apparso sull'Osservatore Romano nel quale era passata al setaccio la Weltanschauung dello scrittore portoghese, con abbondanti riferimenti al suo ateismo e al suo materialismo; curiosamente, mancava ogni riferimento alla qualità letteraria (che pure poteva essere contestata, in linea di principio) di quello che sarà ricordato come uno scrittore e non certo come un teologo o un filosofo.

La morte di una persona non deve certo indurre a una falsa stima postuma, ma negare al Premio Nobel per la letteratura il diritto di essere giudicato per la qualità di ciò che ha scritto significa strumentalizzare la circostanza per fare ciò in cui la Chiesa è maestra: apostolato.

Avrei avuto piacere, ma era pura utopia, che CR9 & Co., la nazionale del cattolicissimo Portogallo, rendesse omaggio col lutto al braccio alla memoria di un grande connazionale. Così non è stato; nemmeno la dedica di uno dei sette gol (magari per controbilanciare l'iniziativa eversiva si sarebbe potuto dedicare gli altri sei ad altrettanti santi del calendario) rifilati alla Corea del Nord. Come dicevo, pura utopia.

Portogallo – Corea del Nord 7 – 0 [Meireles, Simao, Almeida, Tiago, Liedson Ronaldo, Tiago]

Cile – Svizzera 1 – 0 [Gonzalez]

Spagna – Honduras [Villa, Villa]

domenica 20 giugno 2010

Il gol di Fabiano mettiamolo ai voti

Francoforte sul Meno, domenica 20 giugno 2010

Ore 11.49

Non ricordo un giugno così freddo; come se fosse legata al Sudafrica da un inspiegabile vincolo di solidarietà, la Germania sta vivendo un secondo inverno proprio quando dovrebbe arrivare l'estate. I telegiornali mettono in guardia chi ha pianificato di vedere le partite in public viewing sul rischio di venire sorpresi da acquazzoni; con questo tempo e soprattutto con questa temperatura, la voglia di stare in balcone o di organizzare una grigliata sul fiume è poca.

I mondiali li si guarda in casa, con una buona birra in mano; meglio sceglierne una corposa, con la schiuma che sembra panna e un sapore pastoso, di cereali fermentati, una di quelle birre che si bevono provando una sensazione analoga a quella che dà il pane appena sfornato.


Per motivi di sonno, più che altro, ho tralasciato ieri ogni commento sul pareggio tra Australia e Ghana; partita su cui da dire c'è poco, oltre al fatto che l'Australia (in 10) ha perfino sfiorato il colpaccio e che il Ghana ha perso una ghiotta occasione; ora si giocherà la qualificazione contro la Germania, sapendo benissimo che, qualora dovesse perdere, dovrà probabilmente salutare la competizione. Al Ghana, però, basterebbe anche un pareggio, mentre alla Germania servirà una vittoria; tutto questo sempre considerando scontato il successo della Serbia sugli australiani, che avevo già dato per battuti col Ghana.

La Francia è a pezzi, nel senso che i pezzi li perde; Anelka, che ha mandato a farsi fottere il ct Domenech, apostrofandolo come figlio di madre ignota e rifiutando di presentare pubbliche scuse, è stato allontanato dal ritiro dei galletti e chiude la propria carriera mondiale; quantunque non mi schieri dalla parte di Anelka, credo che il suo sfogo sia il sintomo più evidente di una situazione di malcontento e spaccatura che corrode l'ambiente francese da molto tempo; male fecero i dirigenti della federazione transalpina a non congedare l'allenatore dopo il disastroso europeo austrosvizzero; male fece la squadra, all'interno della quale da molto tempo serpeggiava lo scetticismo nei confronti del ct, a non chiederne ufficialmente l'esonero; i “senatori”, Henry in testa, avrebbero dovuto rifiutare in blocco le convocazioni, esigendo un cambo di allenatore diventato impellente; hanno scelto, piuttosto, di combattere come “clan” contro le nuove leve (Gorcouff), quelle a cui il successore dovrà per forza di cose affidare le sorti di una nazionale allo sbando, alla fine di un ciclo glorioso che doveva considerarsi concluso già quattro anni fa.

Colpisce come, ad eliminazione non ancora avvenuta, i francesi (Malouda, Domenech stesso) parlino già di “salvare l'onore”, con riferimento alla partita in cui affronteranno i Bafana Bafana. Curiosamente, questo atteggiamento è assai diverso da quello dei padroni di casa, che si trovano con gli stessi punti e con una differenza reti peggiore.

Se Parigi piange, Roma non ride: un'Italia sconcertante ha pareggiato la seconda partita di fila e l'avversario di oggi non concede attenuanti, perché si tratta della Nuova Zelanda; una squadra che avevamo più volte inseguito, per poi batterla, già un anno fa, prima della Confederation Cup, e che oggi condivide con noi il secondo posto nel girone.

L'Italia è sconcertante perché non produce gioco, senza che ciò offra garanzie di una difesa migliore; è vero, come dice Lippi, che i neozelandesi sono andati in vantaggio alla prima occasione; ci aggiungo anche che il loro gol è stato viziato da un fuorigioco. Resta il fatto che l'abbiamo subito su calcio piazzato e in gioco aereo, le uniche due carte che potevano giocare i nostri avversari, le uniche cose su cui divevamo stare davvero attenti. Siamo già al secoldo gol subito in questo modo, dopo quello del Paraguay.

La pochezza del gioco offensivo dell'Italia fa rabbia, perché è indice di scarsa mentalità, oltre che di mediocrità tecnica; fra la rete neozelandese e il nostro pareggio abbiamo attaccato, prodotto occasioni, messo in difficiltà gli avversari e li abbiamo indotti a concederci un rigore; dopo la trasformazione (perfetta) del quale mi sarei aspettato un secondo tempo a spron battuto, un tiro al bersaglio contro la porta di Paston.

Del portiere neozelandese, nel secoondo tempo, si ricorderanno due bei voli compiuti per parare le conclusioni da fuori area di Montolivo (che ha colpito anche un palo, nel primo tempo) e Camoranesi. Per il resto, poco o nulla: Lippi ha ruotato la rosa degli attaccanti, inserendo in corsa Di Natale e Pazzini, ma ciò che mancava era una squadra dietro, in grado di fare arrivare loro palle giocabili. Il Pirlo e il Totti (o Del Piero) di quattro anni fa, per intenderci.

Un po' di fantasia ci avrebbe fatto comodo; Lippi dice che a casa non ha lasciato nessun campione, né potrebbe dire altrimenti, in questo frangente. Però un Cassano, un Balotelli e un Rossi (Giuseppe), secondo me, sarebbero state alternative migliori, perché hanno caratteristiche tecniche e tattiche che a questa Italia mancano; a tale proposito, visto che il nostro gioco ci ha permesso di concludere solo da fuori, mi chiedo come mai non sia entrato almeno Quagliarella.

Di Natale, l'ho già detto, non ha lo spessore internazionale che si richiede ai partecipanti di un mondiale; nel tridente di Lippi, inoltre, è stato costretto a una posizione defilata che ne ha pensalizzato le virtù realizzative: nel nulla del gioco dell'Italia, non è stato mai servito in modo decente.

La vittoria del Paraguay è stata impeccabile: la Slovacchia è stata disinnescata scientificamente, impedendo ai due uomini più pericolosi (Hamsik e Weiss) di servire Wittek e di andare al tiro; il risultato non è stato mai in discussione. Se oggi l'Italia non si fosse resa indifendibile, si sarebbe quasi tentati di riabilitane l'esordio; cercando un'improbabile difesa nella cabala, Lippi ricorda che nell' '82 ci qualificammo al secondo turno con tre pareggi, ma ho la netta sensazione che per raggiungere gli ottavi, questa volta, almeno un incontro dovremo vincerlo; il che significherà migliorare almeno in attacco o in difesa, meglio sarebbe farlo in entrambe le fasi di gioco.

Volendo essere ottimisti, diciamo che è probabile chiudere il girone al secondo posto, il che significherebbe incontrare l'Olanda agli ottavi di finale: se ci arriveremo, sarà la prova del nove.

Brasile – Costa d'Avorio è stata rovinata dalle scorrettezze; gli ivoriani hanno giocato duro e non avrebbero meritato di chiudere la partita in undici; al contrario, è stato espulso Kaka, che ha ricevuto il secondo giallo dopo la sceneggiata ignobile di Keita; ormai va di moda: il gioco è fermo, c'è un lieve contatto fra te e l'avversario (contatto che magari sei proprio tu a cercare); tu ti lasci cadere, ti copri il volto con le mani e lanci un grido di dolore come se ti avessero sparato. Lo fece Rivaldo contro la Turchia (dopo una pallonata), capita regolarmente nel nostro campionato e la prassi viene imitata nelle serie minori, nel calcio a cinque (l'ho visto fare in serie D a un mio ex compagno di squadra), nelle partite dei ragazzini. Nelson Dida, in una partita di Champions League contro il Celtic Glasgow, ha proposto la variante in cui il colpo ricevuto è il buffetto di un tifoso, entrato in campo per sfotterlo.

Mentre rivedo le immagini, realizzo quanto siano stati duri nelle entrate gli africani: Bastos ha rischiato, Elano ha lasciato il campo in barella, poco dopo aver segnato il suo secondo gol in questi mondiali.

A giocare con animo sereno non aveva certo contribuito la seconda rete di Luis Fabiano, viziata da ben due falli di mano consecutivi: se non un record, quasi. “Dettagli” a parte, il movimento e i sombreri con cui il centravanti brasiliano si è fatto strada per scaricare un bel sinistro in rete sono da guardare e riguardare.

Tutto ciò che ho appena menzionato pesa sulla coscienza della terna arbitrale: il raddoppio del Brasile, il gioco duro non sanzionato, il secondo giallo a Kaka. Già, Kaka: lo straordinario giocatore del Milan, progressivamente appannatosi in Spagna, è riapparso in occasione della rete di Elano, quando ha accelerato sulla sinistra fino alla linea di fondo, per servire un assist magnifico al compagno di squadra; l'espulsione ce lo restituirà agli ottavi, quando il suo contributo sarà davvero necessario.

Si critica Dunga per il gioco poco spettacolare, ma a me pare abbastanza efficace; vista contro il Portogallo, la Costa d'Avorio non era sembrata un avversario malleabile, ma i brasiliani l'hanno dominata schiacciandola nella propria metà campo, facendo circolare la palla a una velocità decisamente maggiore rispetto all'esordio contro la Corea e verticalizzando l'azione. Solidità, concretezza, tecnica, idee. Signore e signori, questo è Dunga.

L'alto numero di telecamere e le moderne tecnologie di ripresa, che consentono slow motion di rara bellezza e definizione, gettano una luce inedita su episodi che un tempo restavano sul rettangolo di gioco, trattenuti solo dalla memoria di chi ne era protagonista; la violenza delle entrate a gamba tesa, i tacchetti che affondano su polpacci, caviglie, calcagni, le articolazioni che scricchiolano, si piegano assecondando il colpo, i muscoli di facciali che reagiscono all'impulso del dolore: tutto è amplificato, moltiplicato, consegnato ai libri di storia. Tutto è più evidente e niente sarà dimenticato.

Potrebbe esserci anche questa fra le ragioni per cui questo mondiale mi sembra particolarmente duro: vedo tante di queste immagini, di calciatori che aggrediscono pallone e gambe avversarie con la suola tacchettata dei loro scarpini. Provo dolore per le vittime e soddisfazione ogni qual volta vedo certi interventi puniti col cartellino rosso.

Le telecamere fanno vedere anche qualcosa di più insolito: Lannoy che chiede a Luis Fabiano, dopo il raddoppio, se per caso abbia toccato il pallone con la mano; Fabiano, una mimica da attore consumato, finge di cadere dalle nuvole: - Chi, io? Quando mai...

È abbastanza sconcertante che un aribtro internazionale, durante una partita dei mondiali, non veda un fallo di mano (o meglio: lo veda e abbia dubbi) e chieda ragguagli al presunto autore; a questo punto avrebbe dovuto chiedere conferma della buona fede di Fabiano a un avversario, che avrebbe senza dubbio denunciato la scorrettezza; che fare, quindi? Metterlo ai voti, magari; votano i ventidue in campo; in caso di parità si estende il suffragio alla panchina, poi allo staff presente a bordo campo ed eventualmente al pubblico sugli spalti (cominciando dalla tribuna d'onore); infine, qualora perdurasse la parità, si potrebbe risolvere tutto col televoto, un euro per la chiamata da linea fissa, mobile o sms. Venti centesimi del quale potrebbero essere destinati a qualche progetto per lo sviluppo di tutte le zone più depresse del Sudafrica, quelle in cui non ci sono stadi, partite, bandiere e vuvuzelas.

Slovacchia – Paraguay 0 – 2 [Vera, Riveros]

Italia – Nuova Zelanda 1 – 1 [Smeltz, Iaquinta rig.]

Brasile – Costa d'Avorio 3 – 1 [L. Fabiano, L. Fabiano, Elano, Drogba]

sabato 19 giugno 2010

L'insopportabile fortuna degli italiani

Francoforte sul Meno, sabato 19 giugno 2010

Ore 22.30

Dopo la vittoria dell'Olanda sul Giappone un fatto era certo: la giornata di oggi avrebbe emesso il primo verdetto del Mondiale. A decidere “quale” sono state il Camerun e la Danimarca, protagoniste di uno scontro per la sopravvivenza a tratti esaltante. Un eventuale pareggio fra le due avrebbe determinato l'automatico passaggio dell'Olanda agli ottavi; una vittoria del Camerun avrebbe estromesso i danesi dalla competizione; il successo di questi ultimi, invece, oltre ad eliminare i leoni d'Africa, garantisce il primato nel girone all'Olanda con una partita d'anticipo.

La prima squadra eliminata, dunque, è africana; questo dispiacerà un po' a tutti, danesi a parte; viene eliminata, fra l'altro, una nazionale che, in passato, è stata protagonista di episodi significativi. Correva l'anno 1990 e allo Stadio Giuseppe Meazza di Milano si giocava la partita inaugurale della rassegna; in campo l'Argentina di Maradona (fino al 2002 la partita inaugurale l'hanno sempre disputata i campioni in carica, dal 2006 la squadra ospitante) contro i Leoni Indomabili, vittima predestinata; sulla carta, perché con un poderoso stacco di testa, Omam-Biyik trafisse l'incerto Pumpido e incrinò le certezze degli argentini. La rete, inattesa valse il successo al Camerun, che sorprese tutti raggiungendo i quarti di finale, dove fu eliminato dall'Inghilterra al termine dell'incontro più bello di quell'edizione.

Nessuna squadra africana era mai andata così avanti e quel record è tutt'ora imbattuto; lo ha eguagliato il Senegal nel 2002, eliminato ai quarti dalla Turchia (ai supplementari). Il Camerun del 1990 aveva in squadra anche Roger Milla, centravanti trenottenne che segnò quattro reti e fu tra i grandi protagonisti di quell'edizione; quattro anni più tardi lo stesso Milla scese in campo contro il Brasile, diventando il più vecchio calciatore ad aver giocato nella fase finale di una Coppa del Mondo (se in quella partita fosse sceso in campo anche Ronaldo, ci arebbe stato anche l'esordio del calciatore più giovane in assoluto).

Roger Milla e Thomas N'Kono, portiere di quel Camerun, facevano pare anche della selezione che affrontò e pareggiò contro l'Italia nel 1982, uno dei tre pareggi nel girone eliminatorio che scatenarono la stampa contro gli Azzurri; pareggi che ci permisero tuttavia di andare avanti, di crescere partita dopo partita e di andare a vincere la finale contro la Germania.

Insomma, col Camerun se ne va un pezzo di storia, oltre che un pezzo d'Africa; se ne va anche un pezzo dei miei pronostici, dato che avevo accreditato la squadra di Eto'o di una clamorosa semifinale e l'attaccante dell'Inter del titolo di capocannoniere.

Imperdonabile, per il Camerun, è stata soprattutto la sconfitta contro il Giappone; la Danimarca, questa sera, ha mostrato lacune difensive come nella partita d'esordio (imperdonabile l'errore di Poulsen che ha permesso ad Eto'o di segnare il momentaneo 1 – 0 per i camerunensi), ma anche una straordinaria facilità di andare in contropiede; abbozzi di ciò che oggi è risultato l'arma vincente, se ne erano visti già contro l'Olanda.

Rommedhal non è più un ragazzino (come molti suoi compagni di squadra), ma sulla fascia destra è stato l'arma in più per mettere in crisi la difesa del Camerun; da un attaccante navigato come Tomasson mi sarei aspettato maggiore freddezza in un paio di circostanze, che hanno mantenuto la partita aperta fino all'ultimo minuto; a Eto'o non si può muovere nessun appunto: una rete e un palo, qualità e sfortuna. Lui non tradisce quasi mai.

A giocarsi ill secondo posto nel girone, dietro a un'Olanda più concreta che bella (questa è una novità), saranno proprio la Danimarca e il Giappone, entrambe a tre punti. Al Giappone basterebbe anche il pareggio, per la miglior differenza reti. Qualora dovesse passare il turno e lo facesse andando in testa al girone, sarà l'Italia ad affrontare una di queste due squadre; io tiferò per il Giappone, sia per naturale simpatia, sia perché ritengo i danesi avversari più duri per una nazionale come la nostra.

Naturalmente agli ottavi dovremo arrivarci con le nostre forze; domani affrontiamo la Nuova Zelanda, che abbiamo già battuto un anno fa durante la preparazione alla disastrosa Confederation Cup; non fu una prestazione esaltante, come esaltante non era quella versione della nazionale lippiana. Domani affronteremo una squadra debole in assoluto, che ha nei colpi di testa la sua arma migliore: Marchetti, Cannavaro, Chiellini & Co. sono avvisati.

È più che probabile che qui in Germania il tifo sarà indirizzato verso i neozelandesi, un po' perché più deboli e quindi più simpatici, molto perché ci vogliono fuori dal Mondiale. Su internet circola il video di una canzoncina il cui ritornello recita: - Non ci importa nulla di chi vincerà la coppa, purché non sia nuovamente l'Italia.

Fra le insinuazioni avanzate dal telecronista di RTL, durante il match contro il Paraguay, c'è che siamo una squadra fortunata, che gioca male ma alla fine se la cava molto spesso. È vero che spesso giochiamo in modo poco convincente, soprattutto durante le prime partite di una competizione, ma sul fatto che siamo fortunati ho molto, moltissimo da obiettare. Negli ultimi vent'anni ci siamo sempre qualificati per la fase finale delle competizioni a cui abbiamo partecipato, tranne gli Europei del 1992: allora fu un palo di Rizzitelli, colpito nel gelo di Mosca, a negarci la qualificazione; un palo, quando sei tu a colpirlo, non è esattamente una benedizione.

Fra il 1990 e il 2002, nessuna squadra ci ha eliminato dai mondiali battendoci nei novanta minuti regolamentari: siamo usciti tre volte consecutivamente ai rigori (1990, 1994 e 1998) più una volta al golden gol (2002); considerando anche gli Europei, oltre a due deludenti eliminazioni al primo turno (1996 e 2004) vanno ricordate l'incredibile finale del 2000, pareggiata da Wiltord allo scadere del 90° e decisa da un gran golden gol di Trezeguet, e i quarti di finale del 2008, persi ai rigori contro la Francia. in entrambe le circostanze, a sudare le sette camicie per batterci furono due squadre fortissime, che si aggiudicarono il torneo. Fortuna?

Poco prima del gol di Grosso, nella semifinale del 2006, l'Italia aveva colpito due volte i legni della porta difesa da Lehmann, una con Gilardino e una con Zambrotta; più la traversa di Toni in finale fa tre, tre legni che avrebbero potuto negarci la conquista del trofeo. Fortuna?

Ma forse i tedeschi, quando parlano della fortuna italiana, si riferiscono alla benevolenza degli arbitri nei nostri confronti; dev'essere così, non c'è altra spiegazione. Nel 1994, infatti, Brizio Carter (mi pare che si chiamasse così) espulse Zola senza apparente spiegazione, durante l'ottavo di finale col Messico; Zola prese ben due giornate e il suo torneo finì lì.

2002, ancora una volta ottavi di finale: fu espulso un altra volta il nostro fantasista, stavolta Francesco Totti; ancora una volta ingiustamente, da uno dei peggiori arbitri che la storia dei mondiali ricordi: Byron Moreno (stavolta del nome sono sicuro); il quale annullò anche un golden gol regolare a Tommasi, prolungando il match fino a quello, definitivo, di Ahn. Quattro anni più tardi, sempre gli ottavi di finale: fu espulso Materazzi, ancora una volta una decisione più che discutibile; giocammo in dieci per quasi un tempo contro l'Australia di Hiddink (che quattro anni prima allenava la Corea del Sud). In finale Helizondo concesse alla Francia un rigore per un presunto atterramento di Malouda, altra scelta discutibile. Fortuna?

Lo stesso Helizondo, si dirà, mostrò anche un cartellino rosso a Zidane, che concluse il mondiale e la carriera nel peggiore dei modi, senza poter partecipare alla sfida dei tiri di rigore. Si polemizzò dicendo che fu il quarto uomo, via radio, a comunicare il fattaccio a Helizondo e questo fu usato come pretesto per una polemica. Non credo che si possa in alcun modo difendere Zidane, autore di un gesto sconsiderato, né tanto meno l'arbitro, che lo ha doverosamente sanzionato. Sugli strascichi di questo episodio ci sarebbe molto da dire: probabilmente lo farò fra qualche giorno, approfittando delle pause fra i turni della fase a eliminazione diretta.

Una cosa che ci attribuiscono i tedeschi fu la squalifica di Thorsten Frings, che non poté giocare la semifinale contro di noi; al termine del quarto di finale contro l'Argentina, ill loro Gattuso mollò un pugno a Julio Cruz, episodio che la FIFA sanzionò dopo che la RAI lo ripropose; RAI o non RAI, Frings la squalifica la meritava ed è nei compiti di un bravo giornalista scovare ciò che agli altri è sfuggito. Nel 2004 Francesco Totti fu squalificato per aver sputato a Poulsen, dopo che una tv scandinava diede rilievo alla cosa; nessuno puntò l'indice contro la tv danese, la nazionale danese, il popolo danese, ma tutti condannarono, come era giusto, il gesto di Totti.

Certamente si ricorda ciò che si vuole e la mia non è che una selezione fatta per smontare un teorema; ma io, che mi ritengo persona abbastanza obiettiva e di memoria calcistica piuttosto buona, ricordo anche gli episodi in cui le decisioni dell'arbitro ci hanno favorito: per compiere il percorso a ritroso, il rigore concesso contro l'Australia, all'ultimo minuto degli ottavi di finale di Germania 2006; lo dico onestamente: fu un regalo. Ma quale sarebbe stato il risultato, a quel punto della gara, se avessimo potuto affrontare i socceroos in undici?

A questo proposito, ai tedeschi bisognerebbe ricordare che hanno vinto una finale, nel '90, grazie a un rigore inesistente fischiato dall'arbitro a pochi minuti dalla fine.

Daniele De Rossi, due anni fa, segnò una punizione alla Francia con la complicità di una deviazione della barriera transalpina: fu una rete importante e fortunosa; fu importante e fortunosa la rete che segnò Voeller contro la Jugoslavia, a Italia '90; fu fortunosa e decisiva quella che segnò Oliver Bierhoff nella finale europea del 1996, contro la Repubblica Ceca: addirittura un golden gol.

Il palo, che svariate volte ci fu ostile (vedi sopra), graziò Pagliuca durante la finale di Pasadena, nel '94; a proposito di legni, va ricordato che ieri la Germania ha colpito una traversa nel primo tempo; per onestà di giudizio, però, va detto che ben due ne ha presi la Serbia durante la ripresa.

Di questo passo non si va va molto lontano. Potremmo far l'alba, accompagnati da buone birre tedesche, a ricordare questo e quell'episodio, senza necessariamente aggiungere nulla di significativo a quanto già detto; magari sulla questione torneremo un'altra volta, a mente lucida.

Io, che di solito non amo la stampa sportiva italiana, ho apprezzato i toni che hanno accompagnato la vigilia dell'esordio azzurro. I giornali, orgogliosamente, ricordavano che la nostra nazionale, sistematicamente bistrattata, detiene la coppa del mondo. Di fronte a un ambiente che ci tratta, nella migliore delle ipotesi, con indifferenza, era giusto ribadire le gerarchie. Legittimo tirar fuori dall'archivio le immagini, nemmeno troppo sbiadite, di Cannavaro che solleva la Coppa Fifa al cielo di Berlino. Ha ragione, Lippi, quando dice che gli dà fastidio non essere considerato tra i favoriti per la conquista del titolo. Nel novero delle pretendenti, dovremmo essere inseriti d'ufficio, come detentori, e per tradizione, perché l'Italia può anche non vincere, ma batterla è difficilissimo.

Ghana e Australia hanno pareggiato, Anelka ha lasciato il ritiro della Francia, Antonio Cassano si è sposato ed è morto Josè Saramago: di questo, non me ne voglia nessuno, parleremo un'altra volta.

Olanda – Giappone 1 – 0 [Sneijder]

Ghana – Australia [Holman, Gyan rig.]

Camerun – Danimarca 1 – 2 [Eto'o, Bendtner, Rommedahl]

venerdì 18 giugno 2010

La perfetta "public viewing"

Stazione di Heidelberg, treno per Darmstad-Francoforte, venerdì 18 giugno 2010

Ore 23.23

Ho visto tutte le partite alla tv tedesca e fino a ieri ho avuto l'impressione che ci fosse una strana supponenza, una superbia che non si addice a questo popolo, calcisticamente parlando. Un atteggiamento, semmai, da inglesi, che infatti non vincono nulla dal 1966, e anche su quella finale ci sarebbe molto da dire. Dopo il 4 – 0 rifilato all'Australia (Australia, non Argentina) tutti i commentatori hannno preso ad usare la prestazione tedesca come pietra di paragone per valutare quelle degli altri, con ovvi risultati: nessuno ha avuto un debutto migliore; nessuno ha segnato più di due reti; nessuno ha vinto con più di due gol di scarto; nessuno ha mostrato trame di gioco così pulite, precise ed efficaci. Il telecronista di Brasile – Corea del Nord ha più volte messo a confronto il gioco prevedibile e lento della squadra di Dunga con quello scintillante e dinamico espresso dai ragazzi di Löw. Della rancorosa telecronaca di Italia – Paraguay abbiamo già detto abbastanza.

La nazionale tedesca piace molto anche a me, ma non ho mai pensato che se ne potesse trarre un giudizio completo dopo una sola partita, dominata contro un avversario mediocre. La sconfitta con la Serbia riporta sulla Terra quelli che erano stati pompati come se fossero Übermenschen; questo potrebbe essere un aspetto molto positivo, se l'ambiente ne saprà trarre le giuste indicazioni.

Ovviamente a me è dato di vedere ciò che dicono i mass media e di incrociare questi dati con le mille voci del web e con ciò che esprime chi incontro per strada; non è assolutamente detto che le stesse attitudini si possano estendere anche ad allenatore e calciatori, ma il rischio di esserne travolti c'è; difficilmente una squadra è impermeabile alle voci che circolano su di essa; difficilmente il peso di un popolo che vuole la finale al punto da sentirsela già addosso può lasciare indifferenti; difficilmente dopo un esordio brillante fra tanti altri in sordina si può scacciare il batterio del facile ottimismo. Difficilmente tutti questi fattori giocano a favore di chi ne è coinvolto.

La sconfitta contro la Serbia non pregiudica né ridimensiona nulla, ma ristabilisce il senso delle proporzioni; auguriamoci che anche i giornalisti sportivi, da queste parti, abbassino il tono dei loro tracotanti commenti. Che i serbi fossero avversari duri da battere era cosa prevedibile; hanno tecnica, agonismo, malizia e di sicuro oggi avevano anche rabbia, per molte ragioni; questo non fa che rendere onore al merito dei tedeschi, che hanno provato provato a pareggiare in inferiorità numerica, andandoci più volte vicini, sia nel primo sia nel secondo tempo.

Decisivi sono stati l'espulsione di Klose (ingenua, due falli che forse non erano tattici ma sembravano tali, uno uguale all'altro) e il gol di Jovanovic, arrivato prima che Löw potesse registrare il nuovo assetto della squadra (va detto però che non era stato espulso un difensore, bensì il centravanti).

Paradossalmente, in fase offensiva la Germania ha prodotto più gioco in dieci che in undici: una traversa nel primo tempo, svariate occasioni nella ripresa, più un calcio di rigore fallito da Podolski. Il fallo di mano di Vidic è incredibilmente simile a quello commesso da Kuzmanovic nella partita col Ghana, costato la sconfitta ai suoi.

Contro il Ghana, i tedeschi giocheranno una finale: dovessero anche solo pareggiare, è probabile (dico questo ipotizzando la vittoria degli africani sull'Australia, domani) che verrebbero superati dalla Serbia, alla quale fra l'altro basterebbe arrivare a pari punti.

Se posso esprimere commenti e opinioni compiute su Germania – Serbia, lo devo solo alla straordinaria dimestichezza del mio amico Till Stellino con l'alta tecnologia in genere, in particolar modo quella audiovisiva. C'è un'espessione inglese, coniata dai tedeschi qualche anno fa, per chiamare la visione collettiva di una partita (o altro avvenimento?) davanti a un maxischermo allestito all'uopo: pubblic viewing, semplice e trasparente.

Till e io avevamo appuntamento al Marstall, la mensa universitaria di Heidelberg, per guardare la Germania in public viewing, sul maxischermo installato di fronte al dipartimento di archeologia; quattro anni fa ci avevo guardato almeno metà delle partite della rassegna: mi ricordo, per esempio, la battaglia di Italia – USA e i calci di rigore che permisero all'Ucraina di superare la Svizzera, accedendo ai quarti di finale.

Oggi, complici il sole su Marstall (i maxischermi sono animali notturni), l'ombra su Johannesburg (anche le riprese televisive preferiscono la sera, con i campi illuminati in maniera omogenea dai riflettori) e il fatto che il maxischermo non fosse nemmeno riparato all'ombra di un tendone, la partita era pressoché invisibile; se ne seguiva l'andamento grazie alla telecronaca diretta, ma era quasi impossibile individuare, in un grigio avvilente, l'ombra di Klose o quella di Schweinsteiger.

Di questo ha cominciato, dopo pochi minuti, a risentire anche l'atmosfera: un esodo di massa verso la mensa, all'interno della quale era stata organizzata una proiezione parallela, ha dimezzato il numero dei nostri compagni di public viewing, lasciandoci in mezzo a bambini, barboni e spettatori più o meno casuali; all'interno della mensa, sovraffollata, le cose non andavano meglio: all'immagine più nitida si contrapponeva la difficoltà di trovare un posto accettabile per goderne appieno.

A questo punto è avvenuta una cosa che, se non conoscessi il mio amico, non avrei mai nemmeno potuto immaginare; da un astuccio nero Till ha tirato fuori un televisorino cinese, da poche decine di euro, che in pochi secondi, con una ricezione accettabile, ci ha permesso di vedere ciò che sui maxischermi si poteva solo immaginare; dopo pochi minuti, con un supplemento di ilarità, abbiamo realizzato che dietro di noi si era addensato un gruppetto di disperati che preferiva allungare il collo su uno schermo da (forse) nove pollici piuttosto che insegure dei fantasmi.

Anche questa è public viewing.

Landon Donovan, il brutto anatroccolo che non diventa mai cigno, ha segnato una rete ai mondiali dopo otto anni (quattro anni fa era rimasto a secco); è una rete, quella di oggi, che ha acceso una rimonta che sembrava impossibile, e che sarebbe stata addirittura un capolavoro se l'arbitro non avesse annullato il gol (regolare) di Edu, nel finale.

Qualcuno dovrebbe spiegare a Howard, portiere degli yankees, che la superficie che un portiere può coprire è sempre implacabilmente inferiore a quella dello specchio della porta; che perciò un portiere buono si distingue da uno cattivo anche in base alle scelte che compie; si tratta di fare un sacrificio: lascio scoperto un palo, quello in cui con meno probabilità verrà indirizzato il pallone, per proteggere l'altro (il primo, di solito, tranne sui calci di punizione); scelgo il lato dal quale buttarmi sul calcio di rigore, per avere almeno il 50% di probabilità di pararlo (sempre che il rigorista non scelga la botta centrale o il pallonetto, che un mio omonimo dieci anni fa ribattezzò col nome di una posata); magari ci aggiungo una finta di corpo, un'esca per indurre l'avversario a cascare nella trappola (Stojkovic, portiere della Serbia, sul rigore di Podolski); esco alla disperata sull'attaccante in fuga solitaria, sperando che mi tiri addosso (Tzorvas, Grecia, su un contropiede nigeriano); salto in mischia per cercare di respingere un calcio d'angolo (operazione nella quale hanno fallito in molti nei giorni scorsi) oppure resto sulla linea per parare l'eventuale colpo di testa. Sul vantaggio sloveno Howard si è fatto prendere in controtempo pur essendo in buona posizione; sul raddoppio è uscito incontro all'avversario, lanciato a rete, ma in modo scomposto, disarticolato, e il pallone è sembrato quasi passargli attraverso.

Oggi ho indovinato la vittoria della Serbia, ma i miei pronostici subiranno un duro colpo, se l'Inghilterra di Capello non cambierà marcia; l'Algeria ha giocato una gara semplice, in difesa, spezzando le trame avversarie e ripartendo in contropiede, ma soprattutto raddoppiando le marcature sui portatori di palla avversari, triplicandole su Rooney; il centravanti del Manchester United, che ho definito più volte immarcabile, è andato via via arretrando per sfuggire al fiato dei difensori avversari sul suo collo; per liberarsi della marcatura, alla fine, ha preso a giocare davanti alla propria area di rigore: una vittoria di Pirro, perché così un attaccante si trasforma in una bomba disinnescata. Difficile dire dove arrivi la bravura dell'Algeria e cominci l'incapacità degli inglesi di creare gioco; Capello ha i suoi grattacapi: dopo la papera dell'esordio, ha sostituito Green con James, che non è mai stato chiamato ad una parata degna di questo nome; nella prossima partita non ci sarà Carragher, che già di suo non è Ferdinand, e si vede; Gerrard e Lampard combinano poco, oggi ho visto meglio Lennon sulla fascia.

Non so neppure quanto il vero Rooney stia mancando alla squadra e quanto la squadra stia mancando a Rooney, per essere il solito cecchino implacabile; così lontano dalla porta, di sicuro, non serve a nessuno, soprattutto in una nazionale in cui il vero bomber è lui; lontano dalla porta poteva permettersi di schierarlo Ferguson uno o due anni fa, quando il problema dei gol lo risolveva CR7.

Germania – Serbia 0 – [Jovanovic]

Slovenia – USA 2 – 2 [Birsa, Ljubijankic, Donovan, Bradley]

Inghilterra – Algeria 0 – 0