Francoforte sul Meno, domenica 4 luglio 2010
Ore 23.30
Quando le cose vanno male, la tentazione di tagliare teste senza neanche badare a quale collo siano attaccate è forte. Io non sono per il repulisti indiscriminato, ma per un po' di pulizia selettiva sì. Per esempio, sostituirei volentieri Abete, che non mi è mai piaciuto; al posto di Abete e del codazzo che sicuramente gli fa capo (in Italia vanno sempre di moda i clan numerosi), proverei a mettere qualche dirigente straniero. Tedesco, magari.
Spesso mi si accusa di esterofilia. Germanofilia, in particolare. Accetto la critica e incasso il colpo, facendo tuttavia notare che il calcio tedesco, una decina di anni fa, era in notevole ribasso; negli ultimi anni un'adeguata politica delle autorità competenti ha prodotto una serie di risultati apprezzabili; primo fra tutti, lo sviluppo del settore giovanile. La Germania, non dimentichiamolo, detiene svariati titoli a livello giovanile: fra questi spicca la vittoria agli Europei Under 21 dello scorso anno: da quella squadra provengono alcuni elementi dell'attuale rosa di Löw: Neuer, Boateng, Kedira, Marin, Özil (senza dimenticare altri giovanissimi elementi venuti fuori troppo tardi per partecipare a quel trionfo europeo ma non per questo ignorati dal ct: Badstuber, Kroos, Müller). La forte e sfortunata Italia di Azeglio Vicini era figlia dei suoi precedenti cicli alla guida dell'Under (Zenga, Tacconi, Baresi, Bergomi, Ferri, Berti, Donadoni, De Napoli, Vialli, Mancini, Giannini, Maldini); della prima Italia di Lippi, molti erano i reduci dai cicli vincenti di Maldini, Tardelli e Gentile. Se la forza delle formazioni giovanili dice qualcosa sul futuro della nazionale, preoccupiamoci del fatto che, dal 2004, non abbiamo più conquistato una finale dell'Europeo Under 21, competizione in cui, per oltre un decennio, avevamo dettato legge. Sei anni fa vincemmo per l'ultima volta la competizione continentale di categoria e a quella formazione Lippi attinse cinque elementi: Amelia, Zaccardo, De Rossi, Gilardino, Barzagli.
Considerando l'età media dei convocati in Sudafrica e il valore delle nazionali giovanili, la Germania ha un radioso futuro, indipendentemente dal risultato in questo mondiale.
Notevole è l'apporto multietnico (Oezil, Boateng, Kedira, Marin, Klose, Podolski) alla squadra allenata da Löw: anche questo, non solo sul piano sportivo (ma anche e soprattutto su quello dell'integrazione), è un dato estremamente positivo. Tengo da parte il caso della naturalizzazione di Cacau, che personalmente non condivido (al pari di quella di Camoranesi). Ad ogni modo, parlando di calcio e società multietniche, vale la pena ricordare la Francia del biennio 1998-2000, che vinse tutto facendo storcere il naso all'estrema destra razzista.
In Germania i biglietti delle partite costano poco, si possono acquistare con grande facilità anche su internet, gli stadi sono pieni e sono pronto a scommettere che anche il livello di sicurezza sia più alto del nostro, oltre garantito con costi minori. I mondiali qui sono un vero momento di aggregazione, come è stato dimostrato quattro anni fa.
A livello di club il calcio tedesco ci sta affiancando ed è prossimo al sorpasso: sorpasso che ci sarebbe già stato quest'anno, almeno quanto a presenze in Champions League, se la finale della massima competizione internazionale non l'avesse vinta l'Inter.
Andrà notato come, sempre parlando di coppe, una Germania meno opulenta di Spagna, Inghilterra e Italia abbia piazzato anche una squadra in semifinale di Coppa Uefa (Amburgo); l'anno scorso il Werder Brema era andato addirittura in finale.
La Bundesliga è il primo banco di prova per i calciatori tedeschi, che hanno modo di crescere e di meritarsi la Nazionale: il Bayern Monaco è ben più tedesco di quanto non sia italiana l'Inter: Butt, Schweinsteiger, Klose, Gomez, Müller, Badstuber sono campioni di Germania e calciatori della nazionale di Löw. La questione non riguarda solamente la Germania e il Bayern: l'asse portante del Barcellona, per esempio, include alcuni fra i migliori calciatori spagnoli, che sono diventati pilastri della nazionale campione d'Europa: Puyol, Piqué, Xavi, Iniesta, per citare i più rappresentativi (per il futuro c'è anche Bojan Krkic); nel Real Madrid giocano Casillas e Sergio Ramos, l'anno scorso fu acquistato Xabi Alonso dal Liverpool e quest'anno è stato preso Villa dal Valencia; nel Manchester United spiccano i nomi di Ferdinand e Rooney, mentre nel Chelsea giocano Terry, Lampard e i due Cole (Ashley e Joe).
Il capitolo più dolente, forse, è quello dei portieri: l'Italia, per tradizione, non dà alla luce grandissimi attaccanti, ma portieri bravi, addirittura eccezionali, sì. L'ultimo prodotto di eccellenza si chiama Gianluigi Buffon; prima di lui, percorrendo a ritroso la storia della nostra nazionale, si possono citare Toldo, Peruzzi, Pagliuca, Zenga, Tacconi (che fu sempre secondo, ma era un portiere formidabile, bravo soprattutto sui calci di rigore), Zoff, Albertosi. Di costoro Buffon è erede più che degno: il problema è che ha 32 anni, l'ernia del disco e nessun sostituto all'altezza. Alzi la mano chi si sente di paragonare le nuove leve ai nomi che ho appena elencato e ad altri che non ho nominato (ne cito tre: Bordon, Galli, Tancredi). La scomparsa dei portieri italiani è senz'altro dovuta al proliferare degli stranieri nel nostro campionato. Una volta nessuno comprava portieri all'estero: ricordo come una sorpresa la decisione, da parte del Parma, di ingaggiare Claudio André Taffarel, negli anni '90. Oggi ha un estremo difensore straniero perfino il Catania (Andujar); la Roma, caso estremo, nell'ultima stagione ne ha fatti giocare addirittura quattro (Julio Sergio Bertagnoli, Doni, Artur e Lobont); si può ben comprendere quali siano le difficoltà, per un portiere del vivaio giallorosso, nell'arrivare a giocare in prima squadra.
L'organizzazione di Germania 2006 è stata pressochè perfetta ed è un altro fiore all'occhiello del Kaiser; dietro Italia '90, che ha avuto anche la sfortuna di essere un mondiale noioso (non per colpa nostra), ci sono gli sprechi miliardari nella costruzione degli stadi: esemplicare il caso del San Nicola di Bari, la cui pista d'atletica credo che non abbia avuto, in vent'anni, un solo utilizzo. Non dobbiamo stupirci del fatto che gli Europei del 2012 siano stati assegnati a Polonia e Ucraina.
Accetto, dunque, le accuse di esterofilia. Penso che ci siano paesi da cui possiamo imparare tanto, in materia di cultura sportiva, di organizzazione, gestione e pianificazione. E mi chiedo come mai da decenni le nostre società importano calciatori, allenatori e perfino dirigenti, mentre in Federazione non ci si possa valere dell'esperienza di qualcuno formatosi altrove, con alle spalle un curriculum incoraggiante. È davvero così assurda questa proposta?
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