giovedì 1 luglio 2010

God save Macheda

Francoforte sul Meno, giovedì 1 luglio 2010

Ore 22.44

Chissà cosa pensa Antonio Cassano, che si è sposato da una manciata di giorni; chissà se sta seguendo la Coppa del Mondo, chissà cosa ha pensato dell'eliminazione dell'Italia, chissà se si è morso il labbro vedendo tanti campioni non giocare all'altezza della propria fama e l'Italia latitare proprio sul piano della fantasia. Non sembra essere il tipo da rimpianti, Antonio Cassano da Bari Vecchia, il miglior piede italiano dai tempi di Baggio (che di mondiali ne ha disputati tre), uno che avrebbe potuto avere la carriera di un Totti o di un Del Piero (che campioni del mondo lo sono stati e lo sono ancora) e che forse, invece, non calcherà mai il palcoscenico di un mondiale.

Parliamo d'Italia, oggi che Prandelli è ufficialmente il nuovo ct. Cominciamo col dire che cosa mi è piaciuto: ho apprezzato la pianificazione, vale a dire il fatto che il progetto Prandelli fosse già stato lanciato prima della rassegna; quattro anni fa, di quello che sarebbe stato presumibilmente il dopo-Lippi, non si sapeva assolutamente nulla; Prandelli arriva alla Nazionale avendo la giusta esperienza alle spalle: non è un allenatore vecchio e bollito, né un novellino; arriva a quella che lui stesso definisce la vetta di una carriera dopo una stagione deludente e formativa, durante la quale ha fatto vedere un'ambizione, una fame di successi evidentemente non condivisa dalla Fiorentina. Non so se Cesare sia il miglior allenatore in assoluto: probabilmente è il migliore allenatore italiano su piazza, però; certamente si sarebbe potuto affidare gli azzurri anche a uno straniero, ma non è nella nostra cultura.

Sulla disfatta azzurra Lippi ha sicuramente delle responsabilità, però una cosa va detta: il materiale a sua disposizione non era all'altezza di quello che hanno altri ct, Maradona in primis; se analizziamo la composizione della rosa azzurra in Sudafrica, scopriamo che la squadra ad aver dato il maggior contributo è la peggior Juventus degli ultimi decenni, con sei convocati (Buffon, Camoranesi, Cannavaro, Chiellini, Iaquinta, Marchisio); poi il Milan della neoausterity berlusconiana, con tre elementi (Gattuso, Pirlo e Zambrotta) e il Napoli qualificato per la Coppa Uefa, con altrettanti giocatori (De Sanctis, Maggio, Quagliarella); due giocatori per la deludente Fiorentina (Gilardino e Montolivo), per il Genoa di metà classifica (Bocchetti e Criscito), per la sorprendente Sampdoria (Palombo e Pazzini), per l'Udinese che ha lottato per la salvezza (Di Natale, Pepe); uno per Bari (Bonucci), Cagliari (Marchetti), Roma (De Rossi). Nessun giocatore dell'Inter stellare del 2010 ha ricevuto la chiamata di Lippi: gli unici che ci avrebbero potuto sperarvi, del resto, non hanno giocato con continuità (Balotelli e Santon, che faranno parte del prossimo ciclo prandelliano); nella Roma, seconda in classifica (e con una caratura internazionale nettamente inferiore all'Inter), oltre a De Rossi era in lizza un Totti acciaccato, lento e incostante sul piano della condizione fisica; nutriva qualche speranza anche un Toni scacciato dal Bayern e, seppur recuperato da Ranieri, non certo nella miglior fase della carriera (fra parentesi: durante Miss Italia nel mondo, ieri sera, Massimo Giletti gli ha domandato se Cassano avrebbo potuto cambiare le sorti della nazionale azzurra in Sudafrica; talmente imbarazzato dalla domanda, Toni è riuscito a condensare nella sua risposta almeno cinque errori di sintassi).

I grandi protagonisti del campionato italiano sono gli stranieri, di cui è composta l'intera rosa titolare dell'Inter: unica squadra, fra l'altro, ad avere un autentico spessore internazionale; né i campionati esteri hanno offerto candidati migliori: Giuseppe Rossi, del Villareal, ha vissuto la sua peggior stagione spagnola; Aquilani, in forza al Liverpool, è costantemente vessato da infortuni ed è reduce da una stagione orribile dei Reds (che ha nuociuto anche a Capello).

I grandi protagonisti del calcio internazionale, oggi, sono altri; il livello del nostro campionato, dopo calciopoli, è calato; contrariamente a qualche anno fa, in cui i nostri si distinguevano all'estero (per fare solo pochi nomi: Ravanelli capocannoniere in Inghilterra, Zola stella del Chelsea, Vieri pichichi in Spagna, Toni capocannoniere in Germania), oggi l'Italia non esporta più i propri calciatori migliori o quanto meno non li lancia sul mercato delle squadre migliori: a Madrid Cannavaro non è diventato il nuovo Hierro e di Cassano si ricorda solo la pinguedine; Zambrotta a Barcellona ha deluso e nel 2008 fu un suo errore a costare l'eliminazione in Champions League (contro il Manchester United); qualcosa di meglio ha fatto Grosso al Lione, ma non credo che gli si intitolerà lo stadio.

Non esportiamo e, in compenso, importiamo molto; il che non sarebbe neppure male, se importassimo bene e se soprattutto sviluppassimo anche i vivai; oggi, invece, i grandi lasciano l'Italia per altri campionati più ricchi e competitivi (Kaka e Ibrahimovic) e l'unica squadra che sembra poter fare concorrenza alle grandi, sul piano del mercato internazionale, è l'Inter.

Tutto ciò, unitamente a un certo scetticismo tutto italiano per la gioventù, non aiuta a tirar su nuove generazioni di campioni; per questo non mi scandalizza il fatto che il meglio dei nostri vivai se ne vada all'estero, allettato da opportunità di guadagno e di crescita; operazioni come quella compiuta da Ferguson con Macheda sono un colpo al cuore delle nostre società, ma danno speranza, in prospettiva, alle nostre nazionali.

Se non li alleviamo noi, i nostri giovani, facciamoli crescere all'estero.

Nessun commento:

Posta un commento