domenica 11 luglio 2010

Furie rosse, furie azzurre

Francoforte sul Meno, domenica 11 luglio 2010

Notte

Dopo un'avventurosa giornata trascorsa su treni tedeschi arroventati, in ritardo e con il climatizzatore in panne, sono tornato a Francoforte, in tempo per un pasto frugale, una meritata siesta e l'appuntamento con la finalissima dei mondiali, in Goetheplatz.

Il trionfo della Spagna può essere commentato e considerato secondo due prospettive; ecco quella che io preferisco: ha vinto una generazione di fenomeni. Questo gruppo di calciatori forma una squadra compatta, forte in tutti i reparti, già all'apice due anni fa con un'età media bassa. Questo gruppo può ancora ottenere dei successi, ma già così è nella storia; non solo in quella spagnola, una storia ricca di grandi calciatori ma poverissima di vere soddisfazioni; questo gruppo merita di essere ricordato nei decenni a venire come una delle più forti nazionali di tutti i tempi. Faccio quattro nomi: Casillas, Puyol, Xavi, Iniesta. Guardatevi il loro palmarès personale, le classifiche di rendimento, i filmati con le loro cose più belle. Gustatevi le parate di uno dei più forti portieri di sempre, con pieno merito paragonato a Gigi Buffon (e viceversa); riguardate tutta la vita il colpo di testa monumentale con cui il capitano del Barcellona del triplete 2009 ha annientato la Germania; rivivete le emozioni che in non molti ma pesanti gol di Iniesta (quello di ieri, quello nella semifinale di Champions League dello scorso anno) hanno dato ai propri tifosi; godetevi le trame pazientemente tessute da Xavi, come se si trattasse di una elegante partitura eseguita da un'ensemble di musica da camera.

Tutto questo per non voler parlare di Ramos, Piqué, Villa, Fabregas, Torres, Silva, Alonso e i tanti, troppi che non nomino. Punti di riferimento nelle squadre più forti di Spagna (Barça, Real, Valencia) e d'Europa (Arsenal, Liverpool).

E poi Del Bosque, di cui un caro amico mi ha fatto notare l'aspetto fisico, da ispettore di polizia di un film degli anni '60. Uno che non compie rivoluzioni, che non inventa nulla, che prende un gruppo di campioni e li fa giocare come sanno, traendo il meglio dai singoli in favore del collettivo: il Real Madrid di una decina di anni fa è stata una palestra eccezionale. Più giovane e più simpatico di Aragones, sempre sorridente, rilassato, fiducioso che prima o poi, con gente del genere sul terreno di gioco, qualcosa di positivo succede.

C'erano molte ragioni per pronosticare il successo della Spagna alla vigilia della competizione e ci sono molte ragioni per unirsi al coro di applausi, alla celebrazione per un successo che corona un ciclo e che sintetizza lo stato di grazia del calcio spagnolo.


Il secondo modo di commentare la vittoria delle furie rosse è quello di restringere la visuale, di isolare le prestazioni di questo mondiale dal contesto storico in cui la competizione è inserita. La Spagna ha cominciato malissimo, con un tonfo più che inaspettato contro una nazionale considerata debole; ha segnato solamente otto gol, di cui sette durante i minuti regolamentari del torneo: meno di meno di Thomas Müller e Miroslav Klose (5 + 4 = 9), meno dell'Italia catenacciara di quattro anni fa (12, di cui 10 durante i tempi regolamentari); non ha mai mostrato un gioco stellare, ma ha quasi sempre faticato per avere ragione dei propri avversari; è arrivata in finale con tre 1 – 0 conscutivi, percorrendo un budello angusto e disseminato di imprevisti (il calcio di rigore per il Paraguay, che avrebbe potuto complicare la storia del quarto di finale) e probabilità (il gol in fuorigioco segnato da Villa contro il Portogallo, quello regolare annullato al Paraguay); dopo la prova di forza contro la Germania, ha giocato una finale con i favori del pronostico, sbloccando il risultato solo alla fine dei supplementari, dopo aver rischiato di capitolare due volte nel corso del secondo tempo.

Queste due prospettive sono entrambe corrette, nel senso che muovendo da entrambe si possono produrre affermazioni formalmente e sostanzialmente vere. Ho detto che preferisco la prima, che rende conto di un insieme più complesso di fattori, ma la seconda rappresenta un'utile integrazione, utile per evitare le celebrazioni agiografiche, mantenendo il senso della misura. Sintetizzando: una grande vittoria, meritata, ottenuta soffrendo, ottenuta crescendo, ottenuta vincendo contro onorevoli avversari; classe, carattere, tanta pazienza e un po' di fortuna sono gli ingredienti del mondiale spagnolo.

Tanta pazienza, ho detto. La Spagna ha dovuto dimostrarla in tutte le partite della seconda fase, mai sbloccate nel primo tempo. Il merito di Del Bosque, come ho già detto, è stato sempre quello di non scomporsi, di non scervellarsi per trovare scorciatoie che conducessero alla vittoria, nel non prodursi in cambi isterici o in terremoti tattici. Ha sempre lasciato Ramos libero di esprimere la propria esuberanza, Alonso di verticalizzare e concludere dalla distanza, Xavi di dettare il gioco senza fretta, Iniesta di accelerare sulla tre quarti. Spezie sapientemente dosate e bilanciate l'una con l'altra.

La pazienza di Del Bosque e della squadra ha toccato il proprio apice ieri, quando la vittoria è arrivata solo a quattro minuti dai calci di rigore.

La partita è stata quilibrata: la Spagna ha prodotto qualcosa in più, ma l'Olanda ha avuto due occasioni per passare in vantaggio e, con ogni probabilità, vincere il mondiale. In entrambe le circostanze Robben ha dimostrato poca freddezza, Casillas è stato eccezionale per scelta di tempo, capacità di coprire lo specchio, reattività. Mai come ieri si è sentita l'assenza di un centravanti di peso: alcune buone combinazioni erano destinate all'insuccesso per la mancanza di una punta centrale di peso e si sarebbe potuto prevederne l'esito con qualche secondo d'anticipo. Con un Milito al posto di Robben, nel secondo tempo, la coppa sarebbe stata oranje. Dell'Olanda ha colpito positivamente la difesa, più compatta ed efficace che non nelle partite precedenti; Van Marwijk sapeva che un'eventuale rete della più quotata Spagna (eccellente nel tenere palla e nel difendere il risultato) avrebbe reso pressoché impossibile la rimonta.

La partita ha avuto così l'aspetto di un singolare scontro tra il fioretto iberico e la clava olandese; gli oranje sono partiti con un assetto saggiamente difensivo e con un gioco maschio, a tratti molto falloso, pagato ai supplementari con l'espulsione di Heitinga.

La Spagna è partita bene nel primo tempo; l'Olanda ha avuto il suo momento migliore nella parte iniziale e centrale della ripresa, sfiorando il clamoroso vantaggio con Robben, imbeccato da una deliziosa invenzione di Sneijder.

A partire dal secondo tempo si è assistito a una girandola di occasioni mancate: su tutte un colpo di testa alto di Sergio Ramos, irruento ma poco preciso, e una conclusione sotto porta di Villa, dopo il liscio di un difensore olandese.


Nel complesso, si è trattato di una finale piuttosto tipica: tattica, fisica, avara di reti e non particolarmente spettacolare, benché giocata bene, secondo le diverse prospettive delle due squadre. Chi leggeva nei nomi delle finaliste la speranza del calcio-champagne, sarà rimasto deluso, nel complesso.

Niente di nuovo neppure sotto l'aspetto del cerimoniale, con il presidente della FIFA a presenziare la premiazione: quattro anni fa si era dileguato, con la scusa formale che le due finaliste erano europee e che perciò spettava alle autorità continentali celebrarle. Oggi che la finale è Brasile – Ghana, invece...

Una riflessione ulteriore su questa vittoria spagnola: è una vittoria all'italiana, se me lo consentite. Come spesso accade agli Azzurri, la Spagna è partita col piede sbagliato; più che grazie all'attacco, ha vinto grazie a una difesa affidabile (due reti subite, come la prima Italia di Lippi), puntellata su un portiere e un difensore centrale eccezionali (Casillas e Puyol come Buffon e Cannavaro); ha goduto di un favore arbitrale agli ottavi di finale, come accadde col rigore concesso a Grosso due anni fa; ha avuto un quarto di finale più facile, almeno sulla carta (l'Italia si sbarazzò dell'Ucraina con un sonoro 3 – 0), per affrontare l'avversario più duro in semifinale: la Germania, come fu per gli Azzurri; ha dovuto aspettare ben oltre i 90 minuti regolamentari per aggiudicarsi la finale.

Ciò non ostante, ben pochi avranno l'onestà intellettuale di riconoscere queste somiglianze e di rivalutare la nostra vittoria. Ben diverso atteggiamento, ben diverso rispetto hanno dimostrato i tedeschi dopo essere stati eliminati da noi e dagli spagnoli. Qualche giorno fa nessuno ha proposto uno sciopero della paella, simile alla patetica idea del 2006 di boicottare la pizza, idea che non avrebbe potuto avere alcun successo e infatti non ne ebbe.

Qualche differenza, però, esiste. Poche nell'economia del mondiale e della stagione (allora, curiosamente, una squadra spagnola era campione d'Europa, il Barcellona; oggi è l'Inter a detenere la Champions League); nella prospettiva più ampia di cui ho testé parlato, va riconosciuto all'Italia di Lippi, partita con lo sfavore del pronostico, di aver compiuto un'impresa eccezionale ed essersi imposta da outsider, per quanto questa etichetta possa essere applicata ad una nazionale fra le più titolate al mondo; l'Italia non aveva la quantità di campioni del livello di quelli della Spagna di oggi, a meno di non voler paragonare Perrotta a Iniesta, Gilardino a Villa, Torres a Iaquinta, Grosso a Sergio Ramos. La Spagna di oggi è più forte dell'Italia del mondiale tedesco, anche se non sso chi vincerebbe un'eventuale sfida sui 90 minuti. Quello italiano fu un incredibile exploit, quello spagnolo è un meraviglioso ciclo. Chiuso o aperto, ce lo dirà la storia.

Olanda – Spagna 0 - 1 [Iniesta]

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