lunedì 12 luglio 2010

La piovra infallibile

Calciatori e tifosi della Spagna campione d'Europa e del mondo stanno festeggiando a Madrid. Non provo neppure a nascondere l'invidia che provo per le emozioni che devono provare gli uni e gli altri; la felicità della nazionale spagnola sta tutta nel bacio di Casillas a Sara Carbonero, inviata di Telecinco (Berlusconi) nonché fidanzata dello stesso Casillas. Il bacio, le lacrime e l'abbraccio dell suo omologo oranje Stekelenburg, quasi l'uno dovesse essere consolato dall'altro.

Casillas per me è il simbolo di questa squadra e meriterebbe il pallone d'oro, come lo avrebbe meritato Buffon quattro anni fa (torna il parallelismo): la stampa (parere autorevole, visto che parteciperà alla votazione) contonua a fare il nome di Sneijder e, da ieri, quello di Iniesta. Hanno il vantaggio di aver giocare davanti e di segnare gol importanti, ma certe parate valgono quanto dei gol segnati.

Come volevasi dimostrare: la finalina è stata ben più rilassata della finale vera, libera da tatticisimi che sarebbero stati fuori luogo. Confesso di averla vista, ma senza tradire gli amici: in un pub sul litorale fiammingo, davanti a bicchieri di birra e di sangria. L'ho vista e dunque, anche se sono passati un paio di giorni, parliamone.

Come da copione, l'Uruguay aveva motivazioni più solide: un terzo posto sarebbe stato comunque un risultato storico, il migliore dopo le due vittorie del '30 e del '50. Che la Germania fosse la grande delusa si è visto durante gli inni nazionali, scrutando le facce dei giocatori. Löw, al contrario di Tabarez, ha fatto il turnover, a cominciare dal portiere (Butt al posto di Neuer). L'assenza di Klose, fuori per infortunio, lasciava un solo vero motivo per andare a vincere quella partita: Thomas Müller.

Müller e Forlan, entrambi a cinque reti, hanno raggiunto Sneijder e Villa. Il biondo uruguagio avrebbe potuto anche superarlo, se la traversa non gli avesse negato la rete del pareggio nel finale. Il computo degli assist, che per una nuova e assurda regola concorrono a determinare la classifica marcatori (in caso di parità), premia Thomas Müller, autentica rivelazione della competizione. Il passo falso dei tedeschi è avvenuto proprio nell'unica partita in cui non ha giocato. Tre quartista atipico, diligente e saggio tatticamente, abbastanza freddo sotto porta e bravissimo nei passaggi. Non credo che abbia molti margini di miglioramento, per la semplice ragione che è già maturo. Gli basta continuare così. Per ora si porta a casa il titolo di capocannoniere mondiale, succedendo a Klose.

Diego Forlan, che con ogni probabilità ha disputato il suo ultimo mondiale, è stato invece eletto come miglior giocatore del torneo. Klose, anche lui probabilmente alla propria ultima apparizione, si ferma a un passo dalla storia.

Della finalina rimane questo: a poco vale il terzo posto della Germania, più concreta sotto porta del volenteroso Uruguay, che ha pagato anche l'insicurezza di Muslera.

Divertiamoci un po' con le pagelle di questi mondiali:

Spagna e Germania 10: gli uni per il risultato, gli altri per il gioco, sono state le grandi protagoniste del torneo. La loro semifinale è stata una finale anticipata. A qualcuno potrà sembrare eccessiva l'equiparazione dei tedeschi ai vincitori, ma se condideriamo la qualità del collettivo, l'aver messo in mostra tanti giovani, l'aver vinto la classifica dei marcatori e la difficoltà del percorso compiuto a partire dagli ottavi di finale...

Olanda 9 e Uruguay 9: hanno giocato entrambe al meglio delle proprie possibilità, andando oltre ogni pronostico. L'Olanda forse merita mezzo punto in più per aver eliminato il Brasile, la sua grande impresa del 2010.

Il polpo Paul (o chi per lui) 8: qualcuno dice che è un trucco, le scelte del polpo sarebbero state pilotate da qualcuno. È probabile; resta il fatto che questo qualcuno ha indovinato tutti i pronostici.

Dunga 7: credo che sia l'allenatore più sottovalutato: in realtà ha dato un'anima ben precisa al Brasile; le sue idee erano vincenti, ma sono state vanificate dalla sciagurata prestazione di Melo contro l'Olanda. Un Brasile così solito sarebbe potuto arrivare fino in fondo.

Il calcio africano 6: se il Ghana avesse battuto l'Uruguay questo mondiale sarebbe stato davvero il mondiale africano. Così non è stato e la barriera dei quarti resta un obiettivo superare per il futuro. La sensazione generale è di un calcio di cui avevamo ammirato la crescita, sopravvalutandone però gli sviluppi futuri. C'è ancora tanta strada da compiere.

Messi, Ronaldo, Kaka, Rooney 5: si potrebbero individuare delle differenze nel rendimento o nell emotivazioni del perché hanno fallito; il dato comune, tuttavia, è che questi giocatori, che sarebbero dovuti essere leader nelle proprie nazionali, hanno deluso le aspettative; l'unico di loro ad aver segnato una rete, fra l'altro, è CR7, ma si tratta di una rete inutile, contro la formazione più debole del torneo (la Corea del Nord, sommersa di gol dal Portogallo). Nei momenti decisivi, come i suoi compagni di voto, ha fallito anche lui.

Maradona 4: il carisma, senza esperienza e sapienza, non basta. Anzi, può fare un danno ancora maggiore, nel momento in cui illude. L'Argentina non è mai stata una squadra, ma solo un insieme di calciatori fra cui spiccavano molti campioni assoluti. Un patrimonio che avrebbe meritato miglior cura. Perle ai porci?

Camerun 3: la prima eliminata del primo mondiale africano è stata una squadra africana: quella con più storia, con più esperienza e col giocatore più forte (Eto'o). Si sarebbero dovuti qualificare agli ottavi a scapito del Giappone.

Francia e Italia 2: le due finaliste di quattro anni fa sono state completamente umiliate dagli avversari. Con l'aggravante, noi, di essere venuti per difendere il titolo; loro, di aver messo in piazza problemi interni allo spogliatoio, perdendo pure la faccia.

Blatter 1: è un voto alla carriera, non solo al mondiale sudafricano. La riconsegna della coppa da parte di Vieira (e non di un italiano) e l'aver premiato la Spagna dopo aver snobbato l'Italia quattro anni fa non fanno che alimentare il dovuto dosprezzo degli appassionati nei suoi confronti.

Jabulani 0: durante la finale, con un rimbalzo esagerato, ha superato Casillas e ha rischiato di cambiare l'esito del torneo. Dall'inizio alla fine si è assistito a traiettorie inedite e ad errori che non hanno giovato al mondiale. Si ritorni ai vecchi palloni.

domenica 11 luglio 2010

Furie rosse, furie azzurre

Francoforte sul Meno, domenica 11 luglio 2010

Notte

Dopo un'avventurosa giornata trascorsa su treni tedeschi arroventati, in ritardo e con il climatizzatore in panne, sono tornato a Francoforte, in tempo per un pasto frugale, una meritata siesta e l'appuntamento con la finalissima dei mondiali, in Goetheplatz.

Il trionfo della Spagna può essere commentato e considerato secondo due prospettive; ecco quella che io preferisco: ha vinto una generazione di fenomeni. Questo gruppo di calciatori forma una squadra compatta, forte in tutti i reparti, già all'apice due anni fa con un'età media bassa. Questo gruppo può ancora ottenere dei successi, ma già così è nella storia; non solo in quella spagnola, una storia ricca di grandi calciatori ma poverissima di vere soddisfazioni; questo gruppo merita di essere ricordato nei decenni a venire come una delle più forti nazionali di tutti i tempi. Faccio quattro nomi: Casillas, Puyol, Xavi, Iniesta. Guardatevi il loro palmarès personale, le classifiche di rendimento, i filmati con le loro cose più belle. Gustatevi le parate di uno dei più forti portieri di sempre, con pieno merito paragonato a Gigi Buffon (e viceversa); riguardate tutta la vita il colpo di testa monumentale con cui il capitano del Barcellona del triplete 2009 ha annientato la Germania; rivivete le emozioni che in non molti ma pesanti gol di Iniesta (quello di ieri, quello nella semifinale di Champions League dello scorso anno) hanno dato ai propri tifosi; godetevi le trame pazientemente tessute da Xavi, come se si trattasse di una elegante partitura eseguita da un'ensemble di musica da camera.

Tutto questo per non voler parlare di Ramos, Piqué, Villa, Fabregas, Torres, Silva, Alonso e i tanti, troppi che non nomino. Punti di riferimento nelle squadre più forti di Spagna (Barça, Real, Valencia) e d'Europa (Arsenal, Liverpool).

E poi Del Bosque, di cui un caro amico mi ha fatto notare l'aspetto fisico, da ispettore di polizia di un film degli anni '60. Uno che non compie rivoluzioni, che non inventa nulla, che prende un gruppo di campioni e li fa giocare come sanno, traendo il meglio dai singoli in favore del collettivo: il Real Madrid di una decina di anni fa è stata una palestra eccezionale. Più giovane e più simpatico di Aragones, sempre sorridente, rilassato, fiducioso che prima o poi, con gente del genere sul terreno di gioco, qualcosa di positivo succede.

C'erano molte ragioni per pronosticare il successo della Spagna alla vigilia della competizione e ci sono molte ragioni per unirsi al coro di applausi, alla celebrazione per un successo che corona un ciclo e che sintetizza lo stato di grazia del calcio spagnolo.


Il secondo modo di commentare la vittoria delle furie rosse è quello di restringere la visuale, di isolare le prestazioni di questo mondiale dal contesto storico in cui la competizione è inserita. La Spagna ha cominciato malissimo, con un tonfo più che inaspettato contro una nazionale considerata debole; ha segnato solamente otto gol, di cui sette durante i minuti regolamentari del torneo: meno di meno di Thomas Müller e Miroslav Klose (5 + 4 = 9), meno dell'Italia catenacciara di quattro anni fa (12, di cui 10 durante i tempi regolamentari); non ha mai mostrato un gioco stellare, ma ha quasi sempre faticato per avere ragione dei propri avversari; è arrivata in finale con tre 1 – 0 conscutivi, percorrendo un budello angusto e disseminato di imprevisti (il calcio di rigore per il Paraguay, che avrebbe potuto complicare la storia del quarto di finale) e probabilità (il gol in fuorigioco segnato da Villa contro il Portogallo, quello regolare annullato al Paraguay); dopo la prova di forza contro la Germania, ha giocato una finale con i favori del pronostico, sbloccando il risultato solo alla fine dei supplementari, dopo aver rischiato di capitolare due volte nel corso del secondo tempo.

Queste due prospettive sono entrambe corrette, nel senso che muovendo da entrambe si possono produrre affermazioni formalmente e sostanzialmente vere. Ho detto che preferisco la prima, che rende conto di un insieme più complesso di fattori, ma la seconda rappresenta un'utile integrazione, utile per evitare le celebrazioni agiografiche, mantenendo il senso della misura. Sintetizzando: una grande vittoria, meritata, ottenuta soffrendo, ottenuta crescendo, ottenuta vincendo contro onorevoli avversari; classe, carattere, tanta pazienza e un po' di fortuna sono gli ingredienti del mondiale spagnolo.

Tanta pazienza, ho detto. La Spagna ha dovuto dimostrarla in tutte le partite della seconda fase, mai sbloccate nel primo tempo. Il merito di Del Bosque, come ho già detto, è stato sempre quello di non scomporsi, di non scervellarsi per trovare scorciatoie che conducessero alla vittoria, nel non prodursi in cambi isterici o in terremoti tattici. Ha sempre lasciato Ramos libero di esprimere la propria esuberanza, Alonso di verticalizzare e concludere dalla distanza, Xavi di dettare il gioco senza fretta, Iniesta di accelerare sulla tre quarti. Spezie sapientemente dosate e bilanciate l'una con l'altra.

La pazienza di Del Bosque e della squadra ha toccato il proprio apice ieri, quando la vittoria è arrivata solo a quattro minuti dai calci di rigore.

La partita è stata quilibrata: la Spagna ha prodotto qualcosa in più, ma l'Olanda ha avuto due occasioni per passare in vantaggio e, con ogni probabilità, vincere il mondiale. In entrambe le circostanze Robben ha dimostrato poca freddezza, Casillas è stato eccezionale per scelta di tempo, capacità di coprire lo specchio, reattività. Mai come ieri si è sentita l'assenza di un centravanti di peso: alcune buone combinazioni erano destinate all'insuccesso per la mancanza di una punta centrale di peso e si sarebbe potuto prevederne l'esito con qualche secondo d'anticipo. Con un Milito al posto di Robben, nel secondo tempo, la coppa sarebbe stata oranje. Dell'Olanda ha colpito positivamente la difesa, più compatta ed efficace che non nelle partite precedenti; Van Marwijk sapeva che un'eventuale rete della più quotata Spagna (eccellente nel tenere palla e nel difendere il risultato) avrebbe reso pressoché impossibile la rimonta.

La partita ha avuto così l'aspetto di un singolare scontro tra il fioretto iberico e la clava olandese; gli oranje sono partiti con un assetto saggiamente difensivo e con un gioco maschio, a tratti molto falloso, pagato ai supplementari con l'espulsione di Heitinga.

La Spagna è partita bene nel primo tempo; l'Olanda ha avuto il suo momento migliore nella parte iniziale e centrale della ripresa, sfiorando il clamoroso vantaggio con Robben, imbeccato da una deliziosa invenzione di Sneijder.

A partire dal secondo tempo si è assistito a una girandola di occasioni mancate: su tutte un colpo di testa alto di Sergio Ramos, irruento ma poco preciso, e una conclusione sotto porta di Villa, dopo il liscio di un difensore olandese.


Nel complesso, si è trattato di una finale piuttosto tipica: tattica, fisica, avara di reti e non particolarmente spettacolare, benché giocata bene, secondo le diverse prospettive delle due squadre. Chi leggeva nei nomi delle finaliste la speranza del calcio-champagne, sarà rimasto deluso, nel complesso.

Niente di nuovo neppure sotto l'aspetto del cerimoniale, con il presidente della FIFA a presenziare la premiazione: quattro anni fa si era dileguato, con la scusa formale che le due finaliste erano europee e che perciò spettava alle autorità continentali celebrarle. Oggi che la finale è Brasile – Ghana, invece...

Una riflessione ulteriore su questa vittoria spagnola: è una vittoria all'italiana, se me lo consentite. Come spesso accade agli Azzurri, la Spagna è partita col piede sbagliato; più che grazie all'attacco, ha vinto grazie a una difesa affidabile (due reti subite, come la prima Italia di Lippi), puntellata su un portiere e un difensore centrale eccezionali (Casillas e Puyol come Buffon e Cannavaro); ha goduto di un favore arbitrale agli ottavi di finale, come accadde col rigore concesso a Grosso due anni fa; ha avuto un quarto di finale più facile, almeno sulla carta (l'Italia si sbarazzò dell'Ucraina con un sonoro 3 – 0), per affrontare l'avversario più duro in semifinale: la Germania, come fu per gli Azzurri; ha dovuto aspettare ben oltre i 90 minuti regolamentari per aggiudicarsi la finale.

Ciò non ostante, ben pochi avranno l'onestà intellettuale di riconoscere queste somiglianze e di rivalutare la nostra vittoria. Ben diverso atteggiamento, ben diverso rispetto hanno dimostrato i tedeschi dopo essere stati eliminati da noi e dagli spagnoli. Qualche giorno fa nessuno ha proposto uno sciopero della paella, simile alla patetica idea del 2006 di boicottare la pizza, idea che non avrebbe potuto avere alcun successo e infatti non ne ebbe.

Qualche differenza, però, esiste. Poche nell'economia del mondiale e della stagione (allora, curiosamente, una squadra spagnola era campione d'Europa, il Barcellona; oggi è l'Inter a detenere la Champions League); nella prospettiva più ampia di cui ho testé parlato, va riconosciuto all'Italia di Lippi, partita con lo sfavore del pronostico, di aver compiuto un'impresa eccezionale ed essersi imposta da outsider, per quanto questa etichetta possa essere applicata ad una nazionale fra le più titolate al mondo; l'Italia non aveva la quantità di campioni del livello di quelli della Spagna di oggi, a meno di non voler paragonare Perrotta a Iniesta, Gilardino a Villa, Torres a Iaquinta, Grosso a Sergio Ramos. La Spagna di oggi è più forte dell'Italia del mondiale tedesco, anche se non sso chi vincerebbe un'eventuale sfida sui 90 minuti. Quello italiano fu un incredibile exploit, quello spagnolo è un meraviglioso ciclo. Chiuso o aperto, ce lo dirà la storia.

Olanda – Spagna 0 - 1 [Iniesta]

sabato 10 luglio 2010

Oggi parlo di me stesso

Ostenda, sabato, 10 luglio 2010

Ore 15.00

Due cose condivido dell'articolo di Zucconi di cui ho abbondantemente parlato (fin troppo!) i giorni scorsi: 1) l'indifferenza verso i pronostici del polpo Paul, che effettivamente sarebbe meglio affidare alle cure di uno chef; 2) l'indifferenza per la finalina.

Credo di aver espresso in ogni diario mondiale che ho tenuto fino ad oggi le ragioni per cui vorrei che fosse eliminata, ma voglio aggiungere una riflessione nuova.

Due giorni fa, in balcone a Francoforte, mi chiedevo chi avrebbe vinto il titolo di capocannoniere del mondiale: favoriti d'obbligo, ovviamente, Sneijder e Mara-Villa, a quota cinque reti ciascuno.

A quattro reti, però, ci sono tre calciatori che disputeranno la finalina (Klose, Müller e Forlan), più Suarez che di reti ne ha segnate tre. Tutti costoro, supponendo che siano in campo stasera, avranno il vantaggio di poter giocare una partita meno imbrigliata tatticamente rispetto a una vera finale: presumibilmente si giocherà per attaccare, più che per difendere. Ad ogni buon conto, le squadre potrebbero impostare il proprio gioco con lo specifico fine far segnare uno dei propri attaccanti, un lusso che non può certo concedersi chi deve vincere la coppa. La Germania, in particolare, potrebbe decidere di supportare Klose, in corsa anche per raggiungere (ed eventualmente superare) Ronaldo quale calciatore più prolifico durante le fasi finali del torneo. Con due reti, sperando che dommani Villa e Sneijder non vadano a segno, potrebbe raggiungere entrambi i traguardi ed entrare nella storia. Supponendo che questo sia il suo ultimo mondiale, mi sembrerebbe un modo assai più che onorevole di cedere il passo alle nuove leve (Müller?).

Indipendentemente da tutto questo, cioè da quali obiettivi e quale atteggiamento tattico caratterizzi le protagoniste della finalina, non vedo perché calciatori già eliminati dalla competizione debbano avere una partita in più per provare a vincere la classifica dei marcatori.

Non credo che la guarderò, questa finalina. Non la guardai nemmeno nel 1998, impegnato com'ero a rimorchiarmi una ragazza. La serata di oggi la passerò con gli amici. E anziché parlare di una partita inutile, parlo di me stesso.

Ho cominciato a scrivere un diario mondiale, fatto di note personali e di commenti alle partite, dodici anni fa. Lo scrivevo su un vecchio Macintosh PowerBook 170, uno dei primi laptop prodotti dalla Apple, un oggetto che a vederlo oggi si proverebbe un moto di tenerezza e nostalgia. Lo scrivevo per me e, per lo meno a quei tempi, non lo lesse nessuno. Quattro anni più tardi ero il co-fondatore di una rivista telematica calcistica dal nome promettente: Pallainrete. L'esperienza del diario, emendata delle note personali, fu dunque proposta allo scarso (numericamente) pubblico della rivista e forse, online, ne resta ancora qualche traccia. Ai tempi di Germania 2006 l'avventura di Pallainrete si era conclusa, quanto meno per il sottoscritto: decisi perciò di provare a far fare un salto di qualità al mio diario. Proposi a quasi tutti i quotidiani italiani e a moltissime riviste di ospitarlo sulle loro pagine, come striscia quotidiana; come unico indennizzo, desideravo la possibilità di richiedere un accredito per alcuni incontri della manifestazione. L'unico giornale che rispose al mio appello fu La Stampa di Torino, che mi ringraziò rifiutando tuttavia la mia offerta: l'evento aveva già una copertura giornalistica sufficiente. Fui grato al quotidiano torinese, tuttora fra i miei preferiti (lo era già prima di questo episodio), ma naturalmente deluso per l'esito complessivo dell'operazione. Fu così che il diario ritornò un'esperienza privata, a cui tuttavia non volli rinunciare: partii per la Germania lo stesso e riuscii anche a vedere l'esordio degli Azzurri allo stadio.

Nel 2006 ero laureato da pochi mesi e coltivavo il sogno, per non dire l'obiettivo, di avviarmi in maniera seria alla professione giornalistica; per passione e per competenza, ritenevo che lo sport fosse l'ambito a cui ero più versato, benché fossi piuttosto flessibile e aperto a qualsiasi proposta.

Dal 2007 a oggi ho firmato articoli su varie testate in Italia e all'estero: l'esperienza più significativa e negativa resta la collaborazione con un quotidiano chiamato cattolico sostenuto da fondi di partito e da finanziamenti pubblici: terminata questa esperienza, a marzo del 2010, è tramontato anche il mio progetto di diventare un giornalista. Caduto il progetto, mi resta qualcosa di appena pià che un sogno; l'ho messo su uno scaffale, accanto a quello (di bambino) di diventare un calciatore.

Il diario mondiale, però, non può togliermelo nessuno. Alla ma vita attuale di addottorando riconosco il pregio di avermi consentito di seguire abbondantemente, ancora una volta, le numerose partite disputate nel corso di queste settimane. Mi sono potuto permettere ore come queste, alla luce di una candela o al sole di un parco, a scrivere di Maradona o di Messi, di CR9 o della Germania, della crisi dell'Italia o delle trovate di Till Stellino per ricevere il segnale di una partita su un televisore portatile. Mi sono divertito e ho ricevuto perfino qualche commento, cosa che ha superato le mie più rosee aspettative. Non ostante abbia scelto di ospitarlo in un blog e non ostante parli di un evento cui si dedica la stampa internazionale, questo resta soprattutto un diario, una tradizione personale, un libro privato di cui si sta per concludere il quarto capitolo.

Quattro anni fa, da neolaureato, godevo di libertà pressoché assoluta: mi muovevo agilmente fra le città della Germania (Heidelberg, Stoccarda, Ludwigsburg, Tubinga, Hannover) e l'Italia; trascorrevo l'intera giornata, che ci fossero partite in programma o no, ad informarmi, a documentarmi, a scrivere, a catturare immagini e atmosfere. Di quel mese conservo ricordi bellissimi e amicizie preziose.

Oggi, quantunque sotto questo aspetto mi senta un privilegiato, ogni minuto che dedico all'evento è tempo sottratto a ben più noiosi doveri e ogni partita che vedo, ogni pagina che scrivo, sono comunque il risultato di una scelta, di un compromesso. Sottraggo ore al sonno e rimando ciò che si può rimandare. A volte scrivo di fretta e sono certo di commettere degli errori. Sulla S-Bahn per Mainz, sui regionali per Heidelberg o sull'ICE per il Belgio tiro fuori il mio leggerissimo netbook e lascio che le mie dita, come quelle di un pianista maldestro, scorrano sulla tastiera.

È probabile che di questo risenta lo stile; è probabile che i dati che cito, spesso a memoria, non siano sempre esatti; è probabile che questo diario sia perfettibile, che qualcun altro faccia di meglio, ma a me piace comunque scrivere queste pagine.

Amo non solo raccontare la giornata, ma creare ponti fra il presente e il passato, stabilendo nessi o analogie, ricostruendo dati statistici, provando a immaginare il futuro. Ogni tanto, al lume di una candela col fischio di un treno in sottofondo, provo a pensare anche al mio, di futuro. E al mancato presente.

C'è chi mi dice che, in un contesto diverso, in un paese diverso, sarei diventato un giornalista; c'è chi mi dice che meriterei di più. Io non mi illudo: se invece di scrivere su un quotidiano lo faccio su un blog, qualche responsabilità devo averla.

Ma ciò non ostante, io non mollo. Chissà che il sogno non torni progetto. Perché c'è sempre la possibilità che il difensore incespichi sul pallone, si chiami Osorio o De Michelis. Perché c'è sempre la possibilità che nel sistema si apra una falla, grande quanto basta per infilarcisi dentro; imprevedibile come una zuccata suicida di Felipe Melo, e sarebbe imperdonabile non farsi trovare pronti (vero, Wesley?).

In questo paese di zucconi (l'Italia, non il Belgio) io continuo ad aspettare e sperare, con la penna in mano e il coltello fra i denti.

Uruguay – Germania si giocherà stasera

venerdì 9 luglio 2010

La prima volta non si scorda mai

Treno per Bruxelles, venerdì 9 luglio 2010

Ore 9.15

È dai tempi di Pelè (Brasile vincitore a Svezia '58 e Cile '62) che due edizioni consecutive del mondiale non vengono vinte da squadre di un medesimo continente; è dai tempi di Meazza (Italia vincitrice in casa nel '34 e in Francia quattro anni più tardi) che ciò non accade a squadre europee; per la prima volta, quest'anno, ci sarà un avvicendamento fra due nazionali di uno stesso continente.

È dal 1998 che il mondiale non va ad una squadra ancora a secco di vittorie (allora fu la Francia padrona di casa); è dal 1978 che ben due squadre con zero titoli arrivano a disputarsi la finale (allora furono l'Argentina e l'Olanda).

Spagna e Olanda sono le squadre europee che hanno mostrato il miglior calcio agli Europei di due anni fa. L'Olanda impressionò battendo l'Italia 3 – 0, con una prestazione eccellente di Sneijder, un vero leader; si perse per strada, commettendo quel passo falso (contro la Russia) che spesso, nella sua storia, le ha impedito di trasformare una traguardo raggiungibile in un trofeo effettivo, da esporre in bacheca.

La Spagna ha tirato su una generazione di calciatori eccezionali, con cui gli ultimi ct hanno plasmato la nazionale più forte degli ultimi anni, per qualità del gioco e dei singoli. Una generazione che si può ben paragonare a quella francese che, fra 1998 e 2000, vinse il titolo mondiale e quello continentale. La Spagna, domenica, ha la possibilità di fare altrettanto, coronando un percorso che affonda le radici nel recente passato. Sulla carta è la Spagna la squadra più forte: assieme al Brasile e all'Argentina era considerata la favorita fin dall'inizio. Non ha punti deboli: Casillas è uno dei portieri più affidabili del mondo; attorno al monumentale Puyol operano difensori di livello ed esperienza internazionali; nel dettare i ritmi del gioco, il centrocampo iberico non ha rivali (e Del Bosque può permettersi di tenere in panchina Fabregas e Silva), come ha sperimentato la Germania ieri sera; Villa è un attaccante che coniuga agilità, rapidità, fiuto del gol e continuità; finora, la scarsa forma di Torres (che, lo ripeto, non è quello di qualche anno fa) non ha dato problemi a Del Bosque (che lo tiene saggiamente in panchina e lo fa entrare nel finale).

L'Olanda, al contrario, qualche lacuna ce l'ha. La difesa è tutt'altro che ermetica; meglio vanno le cose a centrocampo e in attacco, dove manca un vero goleador, ma dove finora Robben e Sneijder sono bastati alla causa. Sneijder è in forma smagliante, quella forma per cui ogni pallone che tocchi si trasforma in oro, senza che sia neppure possibile spiegare perché. Vincendo domenica e ripetendosi al Mondiale per Club, chiuderebbe un anno senza precedenti nella storia del calcio.

Alla luce di quanto detto, il compito della Spagna appare più facile: bloccare il velocissimo Robben è possibile, a patto di concedergli sempre l'esterno e mai l'interno nell'1 contro 1; lasciandogli la fascia esterna, lo si costringe a usare il sinistro per correre e il destro per crossare o per tirare, l'esatto contrario del suo repertorio tipico.

Fermare Sneijder è più difficile, perché parte e tira da posizioni diverse e copie movimenti difficilmente prevedibili; occorrerà, fare attenzione agli assist per Van Persie e chiedere una mano ai centrocampisti (Xavi su tutti): al resto, penserà Casillas. Non vedo, nell'Olanda, molte altre soluzioni tattiche; Kuyt è bravo a crossare dalla fascia destra, ma con una difesa impeccabile nel gioco aereo come quella spagnola (a giudicare da quanto visto contro la Germania) non sarà facile sfruttare i colpi di testa.

Il compito dell'Olanda è assai più gravoso: impedire a Xabi Alonso, Iniesta e Xavi di impostare il gioco. Dei due centrocampisti del Barça, prima della finale di Champions League dello scorso anno, Sir Alex Ferguson disse: «Dubito che abbiano mai sprecato un pallone nella loro carriera». Un'altra felice iperbole (che non piacerà a Zucconi, probabilmente), come quella di Lineker sui tedeschi. Allo stesso tempo, gli olandesi dovranno fare molta attenzione a Mara-Villa lì davanti e alle sgroppate di Sergio Ramos sulla fascia destra, altro punto di forza della nazionale spagnola. Come contro il Brasile, all'Olanda deve andare tutto bene; differentemente da quella partita, gli Oranje devono entrare in campo con una difesa più concentrata e abbottonata: se passassero in svantaggio, recuperare l'incontro sarebbe davvero duro. Non riesco a immaginare, da parte di nessuno degli spagnoli, errori come quelli di Felipe Melo nel quarto di finale.

Detto questo, non c'è bisogno che scriva il mio pronostico. All'Olanda, del resto, avevo già assegnato il secondo posto dall'inizio. Non mi resta che arrivare a Bruxelles, ingozzarmi di birra e patatine e trascorrere il week end in attesa della finalissima, sperando in un bello spettacolo.

giovedì 8 luglio 2010

Italiani mammoni e zucconi

Francoforte sul Meno, giovedì 8 luglio 2010

Ore 21.00

Sulla Repubblica (il sito; il cartaceo, sul giornale cartaceo, per fortuna, mi pare di no) di oggi è apparso un commento di Vittorio Zucconi alla partita di ieri: un commento poco lucido, pieno di acredine e di frustrazione (da tifoso), che si conclude con un significativo «Chi gufa sarà gufato. La Germania resta a tre stelle», un patetico modo per consolarsi del nostro mondiale disastroso.

In un articolo tutto sommato breve, Zucconi ha modo di parlar male della partita di ieri, segnata da una «valanga di errori da una parte e dall'altra»; della Germania, cui le squadre latine (europee e sudamericane) «puntualmente [...] smontano gli ingranaggi a orologeria fino a ridurli a un mucchio di rotelline fuori posto» (mi si consenta di ricordare, come eccezione, la finale del 1990); di Gary Lineker (48 reti con la nazionale inglese, capocannoniere di Messico '86, mai un cartellino giallo in tutta la carriera), «che finì la carriera alla maniera di Cannavaro in Dubai, a raschiare gli ultimi soldi nella squadra aziendale della Toyota»; contro il povero Lineker, Zucconi vuol proprio infierire: la sua celebre frase (Football is a simple game; 22 men chase a ball for 90 minutes and at the end, the Germans always win), pronunciata dopo la semifinale persa dagli inglesi a Italia '90, è definita «più stupida e quindi ripetuta delle battute».

Il motivo, secondo Zucconi, è che non sarebbe vero che la Germania vince sempre; ovviamente l'ex centravanti di Barcellona e Tottenham intendeva esprimere in forma iperbolica e facendo dell'ironia (più precisamente: dell'autoironia, avendo appena perso una semifinale mondiale) una sostanziale verità: difficilmente, ai grandi appuntamenti, la Germania stecca.

In una email che gli ho spedito a ora di pranzo (che ho saltato), ho ricordato a Zucconi qualche dato (oltre a quelli, lusinghieri, della carriera di Lineker: 48 reti in nazionale sono più della somma di quelle segnate da Roberto Baggio e Paolo Rossi, due che hanno vinto il pallone d'oro): in 17 edizioni dei mondiali cui ha preso parte, la Germania (nel periodo in cui ce ne sono state due, i dati relativi alla Germania Occidentale) ha ottenuto tre primi posti (1954, 1974, 1990), andando altre tre volte in finale (1982, 1986, 2002); stesso ruolino di marcia agli Europei (11 partecipazioni): tre volte è arrivata prima (1972, 1980, 1996) e altrettante seconda (1992, 1976, 2008). Dodici finali in 28 partecipazioni complessive, per una media di una finale ogni 2,3 (e una vittoria ogni 4,6) tornei. Solo una volta, su 28 iscrizioni a competizioni internazionali, la Germania ha fallito la qualificazione alla fase finale: gli Europei del '68 (vinti dall'Italia).

Facciamo un paragone con l'Italia, che dovrebbe essere felice (secondo Zucconi) del fatto che non può essere più raggiunta a quattro stelle. Abbiamo partecipato a 18 edizioni dei mondiali, fallendo una volta la qualificazione alla fse finale e vincendoli 4 volte su 6 finali complessive; agli Europei ci siamo iscritti 12 volte, qualificandoci sette volte, giocando due finali e vincendone una. Riassumendo, su 30 tornei siamo stati 8 volte in finale (una volta ogni 3,75 partecipazioni) e 5 vincitori (una volta ogni 6 partecipazioni). Abbiamo numeri di tutto rispetto, ma la Germania non è affatto da meno; anzi, dimostra una regolarità impressionante, frutto di cultura e tradizione calcistiche eccellenti.

La mia opinione è che dobbiamo rispettarci a vicenda; dal nostro punto di vista, credo che anziché perderci in stupide scaramucce su chi ha vinto di più (che davanti al pc possono provocare la caduta di stile di un giornalista, in un bar di Hannover ci può scappare anche il morto) o impennate d'orgoglio fini a sé stesse, sarebbe assai più utile e saggio imparare da una nazione che sta lavorando bene (ho già avuto modo di argomentarlo) e che può essere un modello (certamente non l'unico) da imitare.


Nei primi giorni del mondiale sudafricano, ho “bacchettato” (sul mio Diario posso permettermi questo e altro) la stampa tedesca, per l'atteggiamento ostile e prevenuto nei confronti del nostro calcio e della nostra nazionale; adesso, volendo tornare ad un'analisi del calcio nel nostro paese, parliamo dei media italiani.

Rispetto a quanto detto della Federazione e dei club, si tratta di un discorso a parte, perché non so quanta influenza possano esercitare sulla salute del nostro calcio il livello dell'informazione sportiva e la copertura televisiva degli eventi. Di sicuro influiscono sul nostro modo di percepire il calcio e sul livello di godibilità di una grande manifestazione come i mondiali.

Comincio col dire che mi è piaciuto l'orgoglio mostrato dalle nostre testate alla vigilia del nostro esordio, contro il Paraguay. Era giusto ribadire che eravamo (e siamo ancora) i campioni e chiedere il rispetto preventivo. Purtroppo abbiamo dimostrato presto di non essere all'altezza della nostra fama e del nsotro titolo.

Calciatori e allenatori, da noi, si lamentano costantemente della pressione esercitata dai media italiani sulle loro persone e sul pubblico. Avendo avuto modo, durante queste settimane, di sfogliare tabloid inglesi e tedeschi, posso affermare con una certa convizione che i nostri giornali e periodici sono assai più cauti nel formulare giudizi e nel chiedere la testa di tizio o di caio. A volte, nel nsotro mondo del calcio, c'è troppa paura di dire ciò che si pensa, di riempire le interviste con dei contenuti, piuttosto che con frasi fatte; che lo facciano i calciatori è fastidioso, che lo faccia Abete è inaccettabile.

Quanto alla copertura televisiva, affermo senza mezze misure che il servizio erogato dalla RAI è vergognoso. Anni fa avevamo ben due network che trasmettevano, in chiaro, tutte le partite dei mondiali: RAI e TMC; la squadra di telecronisti della tv di stato per Italia '90, oltre al “monumento” Pizzul, annoverava colleghi seri ed eseperti come giorgio Martino (che commentò la finalina) e Nando Martellini (pagato a gettone, credo, perché era in pensione), oltre a nomi emergenti come Nesti e Cerqueti (il migliore fra quelli ancora in RAI). Mi pare di ricordare che la seconda voce fosse (Mazzola esordì proprio durante la partita inaugurale) riservata alle partite più importanti e che fosse molto più discreta nelle proprie incursioni.

A partire dal 2006 la RAI non trasmette neppure la metà degli incontri (TMC è un ricordo); pensionato Pizzul, il telecronista di punta è diventato Marco Civoli, che commenta le partite più importanti, quelle dell'Italia e molte di quelle di Champions League, da quando ne ha acquistato i diritti la RAI. Al bravissimo Bizzotto hanno dato l'Under 21 e, per ragioni di competenza culturale e linguistica, le partite della Germania. Cerqueti continua a difendere la sua posizione in seconda fila (ma meirterebbe di sostituire Civoli). Alla RAI si sono visti arrivare anche Massimo Caputi, ottimospeaker di TMC, cui hanno però rinunciato, quanto meno come telecronista; mi risulta che si sia messo a organizzare e pubblicizzare eventi, che guadagni soldi a palate e che sia contento così. Buon per lui, male per noi.

Attraverso gli attuali mezzi di trasmissione dei segnali audiovisivi, è tecnicamente possibile vedere la tv italiana anche all'estero. Non tutti sanno, tuttavia, che la RAI non dedica molte attenzioni agli italiani che, per fame o per amore, si trovano ai quattro angoli del globo. La nostra tv pubblica infatti paga i diritti per trasmettere gli eventi sportivi (e non solo: anche per moltissimi film) solo sul territorio italiano; a pochi minuti dall'inizio delle partite, chi si trova di fronte alla tv collegata a una parabola, vede rabbuiarsi lo schermo; l'oscuramento comprende anche le trasmissioni di approfondimento, di cui dunque (non avendone visto un solo minuto) non esprimo alcun giudizio.

Circa un anno fa la RAI ha inaugurato anche un ottimo sito web, che trasmette la diretta di tutti i suoi canali, oltre ad un'ampia selezione di podcast; inutile dire che le dirette degli eventi sono visibili soltanto dal territorio italiano.

Per fortuna la tv pubblica tedesca, che ha comprato i diritti anche per l'estero, trasmette tutte le partite in diretta. I due canali di stato (ARD e ZDF) e il principale canale privato (RTL) si sono distribuiti (come quattro anni fa) gli incontri in modo equo, coprendo l'intero arco della manifestazione; ci sono programmi di approfondimento e il livello d egli ospiti fissi è piuttosto buono; per fare qualche nome: Guenter Netzer, Mehmet Scholl, Juergen Klinsmann, Oliver Kahn.

Quando ero in Italia, non avendo l'abbonamento a Sky e non potendo andare sempre al FIFA Fan Fest di Piazza di Siena (ottima iniziativa), sono ricorso allo streaming su internet.

Mi è capitato di seguire una partita attraverso una fonte che trasmetteva la diretta della BBC: mi ha colpito, in particolare, la totale assenza di pubblicità durante l'intervallo dell'incontro, dedicato integralmente al commento della prima frazione di gioco; in studio, un trittico di ospiti che sfido a superare: Alan Shearer (capitano inglese nel 1998), il «bollito» Gary Lineker (altro aggettivo che gli ha affibbiato Zucconi) e Clarence Seedorf (quattro Champions League vinte con tre squadre differenti e un invidiabile bagaglio di lingue straniere da fare invidia a chiunque).

Sarà contento, Valerio Mammone, della vittoria della Spagna. I tedeschi hanno proprio ragione: l'Italia è un paese di mammoni (e di zucconi).

mercoledì 7 luglio 2010

Alles ist vorbei

Francoforte sul Meno, mercoledì 7 luglio 2010

Ore 23.30

Aveva detto bene, Löw: la Spagna va attaccata. Il problema è che i tedeschi, stasera, non ci sono riusciti. Una Spagna tatticamente perfetta, la migliore vista in questo mondiale, è riuscita nella non facile impresa di fermare la lanciatissima Germania, reduce dalle goleade contro Inghilterra e Argentina. Lo ha fatto spegnendo le fonti del gioco tedesco Özil e Schweinsteiger, che non sono mai riusciti a innescare Klose; lo ha fatto imponendo a centrocampo il proprio ritmo lento e cadenzato, rotto da qualche verticalizzazione improvvisa di Xavi, Iniesta e Xabi Alonso; lo ha fatto dominando sulle palle aeree, in difesa come in attacco: non è un caso che il gol-vittoria sia arrivato proprio su colpo di testa.

Ha di che rammaricarsi, Löw: la Germania di stasera era una squadra contratta, con un vigore atletico non paragonabile a quello mostrato nelle partite precedenti; i meriti degli spagnoli non sono pochi, ma è probabile che i tedeschi abbiano anche pagato un complesso di inferiorità che risale alla finale del 2008. In realtà si arrivava a questa semifinale attraverso percorsi totalmente differenti: la Spagna attuale è una squadra pragmatica, che attacca di meno (con Villa ma senza Torres, del resto in condizioni precarie) ma difende meglio, segna poco ma non subisce niente (arrivano in finale dopo tre 1 – 0 consecutivi).

A giudicare dal gioco espresso fino ai quarti di finale, la favorita era proprio la Germania, cosa che non si sarebbe detta due anni fa. In due anni la Germania, giusto mix di continuità (Schweinsteiger, Klose, Podolski) e rinnovamento (Özil, Müller, Neuer), è cresciuta moltissimo; la Spagna, già al massimo, doveva semmai confermare il proprio valore. I tedeschi hanno mostrato un gioco brillante da subito, ma hanno davvero impressionato a partire dagli ottavi; gli spagnoli sono partiti col piede sbagliato e hanno recuperato terreno senza mai strafare, limitandosi a produrre il minimo indispensabile; aiutati un po' dalla fortuna, un po' dall'arbitro (contro il Portogallo) e un po' da Villa, sono arrivati alla semifinale quasi a fari spenti.

Non ostante queste premesse, era la Germania a sentirsi sotto esame, e la cosa le ha appesantito le gambe; l'assenza di Müller si è sentita più del dovuto (e più di quel che mi aspettavo), la manovra è stata assai meno fluida e la smania di sbloccare il risultato, più che far aumentare la pressione, ha concesso spazi alla Spagna. La quale, a ben vedere, ha avuto le occasioni più ghiotte, sia prima che dopo la rete di Puyo; l'errore di Pedro, nel finale, sarebbe stato imperdonabile se ai tedeschi fosse riuscito di pareggiare durante uno degli ultimi (velleitari) assalti. Nel secondo tempo Löw, che si era abituato a condurre il gioco e difendere il vantaggio (nei due incontri precedenti i tedeschi avevano sbloccato il risultato dopo pochi minuti), ha dato segnali di impazienza: così interpreto la sostituzione di Boateng (monumentale, in difesa) con Jansen, più incisivo (sulla carta) in proiezione offensiva. Del Bosque, al contrario, ha lasciato che i suoi giocassero il loro calcio, senza forzare o alzare i ritmi (cosa che avrebbe potuto risvegliare gli avversari), fiducioso che qualcosa, prima o poi, sarebbe successo. Era accaduto, sempre durante la ripresa, nelle due partite precedenti: perché la semifinale avrebbe dovuto fare eccezione?

Si dice che i campioni, di qualunque sport si tratti, hanno la capacità di dare il meglio di sé stessi nei momenti importanti, che sono anche i più difficili: è significativo che la Spagna abbia giocato il proprio calcio migliore stasera, conservando magari qualcosa anche per domenica.

Non vorrei sembrare ingeneroso o eccessivo: stasera si è giocata una semifinale mondiale fra due grandi squadre e le differenze di cui ho parlato hanno l'aspetto di piccoli dettagli. Dettagli come un colpo di testa su calcio d'angolo. Va però detto che la differenza fra le due squadre, ancorché non eclatante, si è vista durante l'intero arco della partita.

Ad ogni modo, alla Germania si deve rendere onore. I tedeschi possono guardare al prossimo futuro con rinnovato ottimismo, perché l'ossatura della nazionale è ottima e ancora giovane: molti dei giocatori chiave saranno ancora buoni fra quattro anni, altri saranno cresciuti e c'è da giurare che nuovi talenti si faranno strada. Löw, raccogliendo l'eredità di Klinsmann, ha dato avvio a un ciclo lungo e promettente.

Una sola cosa mi sentirei di far notare al tecnico tedesco; una cosa che dico con un pizzico d'orgoglio nazionale, quel poco che gli Azzurri mi permettono di conservare: caro Joachim, hai perso per un colpo di testa; hai perso per una piccola disattenzione della difesa, una sbavatura, una pennellata di troppo, una nota stonata in una partitura perfetta. Quella sbavatura di cui la difesa italiana, durante la semifinale del 2006, non si è macchiata; per fortuna, per cultura ma anche per la classe che seppero dimostrare i calciatori azzurri preposti alla difesa della propria porta. In quell'occasione la Germania si sentì defraudata e ancora pochi giorni fa Löw manifestava il proprio disprezzo per il gioco difensivo degli azzurri (che proprio grazie alla difesa hanno vinto il mondiale 2006). Farei notare che le uniche due squadre ad aver fermato le furie rosse spagnole, nella fase finale di Euro 2008 e in quella di questo mondiale, sono state due nazionali dal solito impianto difensivo: l'Italia, che due anni fa portò la sfida dei quarti di finale ai rigori; la Svizzera, che quest'anno ha vinto grazie a difesa e contropiede.

Quattro anni fa Fabio Cannavaro fu il terzo difensore nella storia ad aggiudicarsi il Pallone d'Oro (su Cannavaro ci sarebbe molto da dire): i primi due erano stati “Kaiser” Franz Beckembauer e Matthias Sammer, connazionali di Löw. Qualcosa, qualche piccola cosa, possono insegnarla anche l'Italia e il proprio stesso passato.

Sabato prossimo, mentre io sarò ad Anversa a godermi amici, mare e birra, due squadre si contenderanno la finale dei poveri:

l'Uruguay, col rientrante Suarez;

la Germania, col rientrante Müller.

Due giovani che, il loro mondiale, lo hanno già vinto.

Spagna – Germania 1 – 0 [Puyol]

martedì 6 luglio 2010

L'antifurto arancione

Treno per Francoforte, martedì 6 luglio 2010

Ore 23.06

Ho guardato la prima delle due semifinali allo Schlossbiergarten di Mainz; mentre mi godevo il secondo tempo, beatamente spaparanzato su una sdraio inappropriata al freddo della serata, un angelo stava combattendo con l'antifurto della mia auto; si tratta di un semplice quanto ingegnoso meccanismo installato sotto il volante di quest'ultima, con una serratura opportunamente occultata; qualora non vi si inserisca l'apposita chiavetta l'auto, dopo essere messa in moto (senza apparenti problemi) ed aver percorso alcuni metri, dovrebbe spegnersi e il clacson cominciare a suonare, prendendo in contropiede il ladro quando ormai è convinto di aver compiuto il furto. Il malcapitato, a questo punto, non ha molto tempo per capire cosa stia succedendo (potrebbe trattarsi di un guasto) e porvi rimedio: è statisticamente probabile che opti per la fuga. Questo deve aver pensato, negli anni '60 o '70 (non ricordo esattamente a quando risalga questo marchingegno, che mio padre trasferisce di auto in auto da allora), chi ha ideato questo semplice antifurto; di fatto, ciò è sistematicamente accaduto, per lo meno da quando sono io ad avere in gestione l'ultima auto a cui l'antifurto è stato applicato.

Domenica prossima l'Olanda disputerà la sua terza finale mondiale, dopo quelle (entrambe perse) del 1974 e del 1978. Sarà una finale tutta europea, la prima disputata fuori dall'Europa (mai una nazionale europea ha vinto un campionato del mondo fuori dal proprio continente) senza che a prendervi parte vi sia almeno una formazione sudamericana. Sarà la seconda finale consecutiva tutta europea: non accadeva dagli anni '30, da quando cioè l'Italia di Pozzo si laureò campione del mondo battendo la Cecoslovacchia (1934) e l'Ungheria (1938).

Quattro anni fa Blatter snobbò la premiazione degli azzurri: si giustificò maldestramente dicendo che, essendo stata una finale fra due squadre europee, gli era sembrato opportuno lasciare l'incombenza a Platini, presidente dell'UEFA. Se ciò è vero, dobbiamo aspettarci lo spesso comportamente domenica prossima.

L'Olanda di stasera non mi ha particolarmente impressionato: ha mostrato piuttosto lacune difensive che potrebbero essere decisive contro le qualità di chiunque la sfiderà in finale; tanto la Germania quanto la Spagna hanno caratura e una qualità offensiva superiori all'Uruguay.

L'Olanda è una formazione strana, che attacca col collettivo senza avere un vero terminale offensivo: Van Persie non è un centravanti di ruolo e si trova meglio a servire i compagni o agendo sull'esterno; Robben è un'ala pura e Sneijder, che per ora è capocannoniere della competizione (con Villa), è un centrocampista offensivo. L'esperienza insegna che si può giocare anche senza centravanti o, per usare un termine meno impegnativo da un punto di vista tattico, senza goleador; per designare questo tipo di squadra, che solitamente va in rete con un numero più alto di giocatori, i giornalisti italiani hanno coniato l'espressione “cooperativa del gol”. L'Olanda, in tal senso, è una cooperativa del gol anomala, perché ben sette reti finora le hanno segnate Sneijder e Robben. Era assai più cooperativa, in questo senso, la prima Italia di Lippi.

Stasera voglio trovare il pelo nell'uovo; mi chiedo perciò se questo tipo di gioco (senza terminale offensivo) funzioni contro qualunque avversaria e in qualunque situazione. A naso, verrebbe da pensare che sia una tattica più adatta ad affrontare le “grandi” rispetto alle “piccole”: avendo funzionato con l'Uruguay, perciò, dovrebbe a maggior ragione dimostrarsi efficace in finale, chiunque sia l'avversaria. I dubbi, semmai, vengono pensando a una ipotetica situazione di svantaggio, negli ultimi 20 minuti della partita: quelli in cui il vecchio Van Nistelrooy sarebbe potuto tornare ancora utile. Mi si potrebbe rispondere che, per ogni evenienza, c'è sempre Huntelaar.

La persona che, mentre Sneijder e Robben regalavano all'Olanda la sua terza finale, stava armeggiando con la mia automobile, non era un ladro. Non l'avevo definito “angelo” per sbaglio o per caso.

Stamani, mentre ero sul treno per Mainz, ho avuto notizia della potatura dei platani in Via Marsica, a Roma; la cosa non mi era indifferente, perché la mia automobile era parcheggiata proprio lì e se non fosse stata prontamente spostata, sarebbe stata rimossa dalla polizia municipale; le spese di rimozione e deposito, ovviamente, le avrei dovute pagare io.

Mio padre si trovava a Mosca: non restava che rivolgermi all'unica altra persona che, senza effrazione, sarebbe potuta entrare a casa mia, dotarsi di chiavi e spostare l'automobile lontano dai platani suddetti: Valerio Mammone.

Non ostante la laurea imminente e la partita in corso, ha divorato la trentina di chilometri che separano Ostia (cove abita la sua famiglia) a Via Marsica (sotto un cui platano avevo incautamente lasciato la macchina), ha combattuto con l'antifurto meno tecnologico e domestico che ci sia in circolazione e fa spostato il veicolo fuori dalla portata dei potatori. Sbaglio a chiamarlo “angelo”?

Il Diario Mondiale è sempre stato dedicato a qualcuno: non sempre, va detto, ho scelto bene i dedicatari. Credo però di non sbagliare dedicando questo diario sudafricano, scritto fra la Germania e l'Italia, a Valerio Mammone, che conobbi quattro anni fa, proprio durante i mondiali, in terra tedesca.

La rete di Forlan, quantunque propiziata dalle virtù jabulanesche, ricade in buona parte anche sulla responsabilità di Stekelenburg; poche colpe, invece, si possono attribuire a Muslera sui tre gol olandesi (tutte traiettorie sul palo interno): il primo è una prodezza assoluta di Van Bronckhorst (i puristi della parata faranno notare che l'estremo della Lazio ha provato a prenderla con la mano di richiamo, ma la verità è che era un tiro imparabile); sul tiro di Sneijder sono stati determinanti una deviazione e l'azione di disturbo (al limite del fuorigioco) di Van Persie; nulla da eccepire sul colpo di testa di Robben, figlio di una bella azione e dell'ottimo cross di Kuyt (tanto lavoro sporco in questo mondiale).

All'Uruguay non mi sento di imputare nulla: con un avversario di maggior caratura e nelle gambe l'incredibile maratona contro il Ghana, l'unica possibilità che avevano i ragazzi di Tabarez era quella di segnare e difendere il vantaggio, agendo in contropiede. Un pareggio e gli eventuali supplementari, avrebbero indubbiamente finito col favorire l'Olanda e, in seconda battuta, l'altra finalista di domenica. Una volta passati in svantaggio, era ovvia la necessità di pareggiare entro breve, perché le forze sarebbero prima o poi andate scemando; il pareggio è arrivato e ad inizio ripresa Forlan e compagni hanno mostrato un ottimo pressing alto, che ha messo in difficoltà l'Olanda nell'impostare l'azione. Il ritmo e la pressione uruguagia sono andati calando poco a poco, sotto il colpo psicologico delle reti subite nella ripresa, ma senza portare alla capitolazione; la rete del 2 – 3 (segnata da uno dei più attivi, quel Maxi Pereira che mi ha ricordato il messicano Salcido contro l'Argentina), congiuntamente al lungo e inspiegabile recupero concesso dall'arbitro, ha infiammato il finale e dato ai sudamericani la speranza di una nuova incredibile resurrezione.

Escono a testa alta, essendo andati al di sopra delle più rosee aspettative; avendo vinto, complice anche un tabellone amico, il duello a distanza con tutte le altre compagni sudamericane: Cile, Paraguay, Brasile e Argentina, tutte eliminatee fra ottavi e quarti di finale. Nella finalina, Forlan potrà provare a togliersi lo sfizio, non da poco, di vincere la classifica dei marcatori, Villa, Sneijder, Klose e Müller permettendo.

All'Olanda conviene che la seconda semifinale finisca dopo i tempi supplementari. La stanchezza dell'avversaria dopo 120 minuti si andrebbe a sommare al vantaggio, per gli Oranje, di riposare un giorno in più: non sono cose da poco, nell'economia di un mondiale. Per il gioco espresso fin qui, la Germania è superiore; per qualità dei singoli, la Spagna non ha rivali. Ma l'Olanda è l'unica squadra ad aver vinto tutte le partite fin qui disputate e può già godersi la conquista della finale. Come avevo pronosticato all'inizio.

Uruguay – Olanda 2 - 3 [Van Bronckhorst, Forlan, Sneijder, Robben, M. Pereira]